il bello musicale rivela le stesse proprietà del sogno: non può essere spiegato nei normali termini della rappresentazione semantica, né può essere ricondotto alla rispondenza logica dei significati.
Edgar Allan Poe propende per una definizione “astrattista”, intendendolo come piacere dato dalla simmetria dei suoni, ciò che alla fin fine costituirà la base estetica della Scuola di Vienna. Per i Russi del Novecento il bello musicale è nelll’ethos popolare che sovrintende la costruzione nel suo complesso, concetto che riporta all’idea originale di classicità, verso cui tentano un’impari lotta le avanguardie europee che si dissolvono tra Futurismo, Dada, eccentrici isolati e neoavanguardie mitteleuropee.
Dalla consecuzione dei suoni in melodie l’apprezzamento si sposta alla percezione degli aspetti sempre più esteriori del dato musicale, da cui l’odierno culto per l’interprete, in certi casi di valore artistico pari al compositore. Le teorie psicoacustiche apportano credibilità a quest’ultima interpretazione, lasciando nella propria misteriosità intangibile la sfuggente e immateriale bellezza della musica, la materia oscura di cui è costituito l’universo parallelo nel quale tramite l’ascolto l’uomo può liberare la propria dimensione emotiva.
Frédéric Chopin (Zelazowa Wola 1810-Paris 1849)
Ballade n. 1, in sol min. op. 23
La composizione di questo capolavoro emblematico della fervida fantasia chopiniana venne iniziata nel 1831 a Vienna e conclusa a Parigi nel 1835. L’onda emotiva è quella della Balladi y romancy del poeta polacco Adam Mickiewicz, e il riferimento ai versi della ballata intitolata Do Maria Puttkamerowa è alquanto evidente, specialmente nella ripresa del ritmo, anzi, del pathos ritmico. I versi sono divisi in stanze e al termine di ciascuna d’esse il poeta ottiene uno speciale effetto di memoria-palpitazione scrivendo una fila di puntini di sospensione, a sottolineare l’estrema labilità delle emozioni, che si succedono senza ordine, né tempo. Chopin introduce, e chiedo venia per l’ardimentosa raffigurazione, una ripresa onomatopeica di tali silenzi, in cui la ridondanza del suono udito veicola un senso di ricordanza cui, d’altro canto, la memoria è estranea. Forse Chopin vuole condurci verso un dejà vù che non vuole essere divinazione, più probabilmente, uno sguardo contemplativo rivolto verso l’archetipo dell’uomo sopraffatto dalla limitatezza del corso del proprio destino. Le varie sezioni sono quanto di più incongruo possa trovarsi in uno stesso brano musicale, passaggi ora piangenti, ora deliranti, poi possenti, fino all’esaltazione e nuovamente precipitanti verso l’introversione, con una conclusione concitata a suggello del trionfo del disordine cosmico come condizione di natura.
Ballade n. 3, in re b mag. op. 47
La Ballade n. 3, degli anni 1840-41, riporta alla produzione chopiniana parigina da concerto. L’ispirazione melodico-ritmica della prima sezione è formalizzata in una formulazione su note corte che, in se stesse, sono la negazione del canto, della metodicità, eppure, nella disposizione pianistica di Chopin con bicordi estesi svolti a mani alternate emerge un disegno lirico netto, sottolineato dalla particolare ritmica che consegue all’esposizione. L’episodio centrale gioia-dolore
Scherzo, n. 2 in si b min. op. 31
Etudes op. 10 nn. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 12
Fantaisie-Impromptu op. 66
Alban Berg (Vienna, 1885-1945)
Sonate op. 1 (1907)
Sergej Vasil’evic Rachmaninov (Ivanovka, 1873-New York, 1943)
Elegie op. 3 n. 1
Prelude op. 3 n. 2
Prelude op. 23 n. 1
Prelude op. 23 n. 2
Prelude op. 23 n. 5
Prelude op. 23 n. 7
Alexander Nikolaevic Skrjabin (San Pietroburgo 1874-1914)
Sonate n. 5 op. 53
Claude Debussy (Parigi, 1862-1918)
Pour le piano (Prelude, Sarabanda, Toccata)
George Gershwin (New york 1899-Los Angeles 1938)
Rhapsody in blue (original, 1924)