Oltre lo specchio, lo sguardo e l’esposizione: la “carezza-parola”, Luce Irigaray
Siamo corpi viventi “differenti e co-creatori”, progetti vitali che oltrepassano la carnalità contingente senza però mai annullarne l’appello ad una cura che diventi mano che accoglie, protegge, sfiora, accarezza.
Traendo spunto da Luce Irigaray, la carezza, intesa come “gesto-parola”, è atto e metafora di una relazione che, nel toccare, linguaggio simbolico dei corpi, si fa dono in-toccabile, infungibile, impalpabile, che raggiunge l’altro senza intaccarne o forzarne alcuna direzione, seguendo le rughe della sua fragilità;e si segna sull’anima come opera di libertà per l’altro e nell’altro.
Nell’attuale mercato dei corpi come simulacri di modelli senza originale, che inseguono un’estetica di conformità e di serialità consumistica, permeando di sé forme, stili e rappresentazioni collettive, dov’è bellezza che salva dall’anonimato dell’omologazione e dalla violenza dei forti sui vulnerabili? Cos’è bellezza senza responsabilità, rispetto, liberazione? Riappropriarsi della relazione vitale con il corpo proprio e con quello dell’altro, liberandone tutti linguaggi e le possibilità di senso, è un percorso necessario che inizia dall’oltrepassamento dell’egemonia dello specchio di Narciso e dall’esposizione di corpi decontestualizzati dal sé sulle piazze telematiche. Nell’“Elogio del toccare” di Irigaray c’è, appunto, tutta l’intenzione etica del superamento del possesso, dell’aggressione o della non accettazione del corpo che siamo e che parla per noi, in noi e attraverso di noi.
Il “gesto-parola” della carezza può essere, quindi, la rivolta non violenta all’aggressione deturpante di ogni corpo vivente, risveglio dei sensi nella profondità del sentire e del vedere con “intelligenza delle emozioni”, per costruire sempre nuove e libere relazioni mente-corpo-altri.
Insomma, “Accarezzare - come scrive Irigaray - è stare attenti alle qualità velate nella vita comunitaria, qualità che leggi e vita civile dovrebbero garantire come proprie, sottratte alla violenza di un quotidiano che non si cura di intersoggettività, alle violenze di un uso utilitario (che si tratti di commercio in senso stretto o commercio del desiderio sessuale) sottratte ad uno sguardo o a un uso non preoccupati del rispetto dell’altro”.
Fiammetta Ricci
Università di Teramo
Istituto Italiano Bioetica, Abruzzo