Nel corso del 2022 la seconda edizione del Market Watch Economia della Bellezza di Banca Ifis si è arricchito della dimensione della responsabilità sociale, allargando lo sguardo alle aziende purpose-driven, ovvero guidate da uno scopo (anche se un po’ limitante l’equivalente italiano di purpose): erano oltre 46.000 e producevano 650 miliardi di euro di fatturato annuo. Con questo nuovo studio è stato acceso un faro sull’importanza della responsabilità sociale e su come, di conseguenza, si sia evoluto il concetto stesso di Bellezza che si orienta sempre più verso la dimensione dell’etica e del “giusto”: per aziende e consumatori lo scopo del fare impresa è sempre più determinante e le aziende purpose-driven risultano vincenti. Le aziende che scelgono questo approccio hanno un fatturato medio di 14 milioni di euro, riflettendo pienamente la struttura del sistema produttivo italiano caratterizzata da un ricco parterre di Pmi. La scelta di costruire un’attività fondata sui valori oltre che sul profitto non è un fenomeno esclusivo degli ultimi anni: l’89% delle imprese purpose-driven sono già consolidate sul mercato mentre solo l’11% è nato dal 2018 a oggi.

Vediamo, innanzitutto, quali sono le caratteristiche distintive del purpose delle imprese italiane. L’osservatorio di Banca Ifis ha analizzato il fenomeno purpose-driven partendo dalle testimonianze di sei differenti aziende (Foscarini, Trend Group, Mavive, Serveco, ACBC, Lavazza) che hanno raccontato il modo in cui le imprese stanno assumendo una sempre più ampia responsabilità sociale. Dalle interviste è emerso infatti come per queste aziende un prodotto è bello se esprime anche un contenuto valoriale. Il concetto dello scopo, del purpose, legato a un’attività di business, diventa parte integrante del processo generativo di impresa in senso più ampio. E’ la ragione per cui un’impresa è nata e opera. Tre i pilatri su cui si fonda: 1) AZIONE: per le aziende è la ragione che le spinge all’azione e quindi alla creazione di un prodotto/servizio fatto nel rispetto di certi valori, che possono cambiare nello spazio e nel tempo; 2) PARTECIPAZIONE. La purpose economy rappresenta la condivisione, il sentirsi parte attiva di un progetto comune e quindi la consapevolezza di essere connessi all’interno di una rete sociale. I collaboratori delle aziende purpose-driven sono partecipi dello stesso “scopo”: 3) COMPETITIVITA’: le aziende purpose driven non saranno scelte dai consumatori solamente per la qualità o il prezzo del prodotto e del servizio, ma perché abbracciano un’idea più ampia di contributo alla società. Il purpose, quindi, diventa fattore imprescindibile di competitività.
Sono risultati 6 gli ambiti principali su cui è usualmente incentrato il purpose di un’impresa: 1) parità di genere; 2) sostenibilità (sociale, economica e ambientale); 3) partecipazione e democratizzazione; 4) diversità generazionale; 5) benessere dei lavoratori; 6) territorio e comunità locale.

Dallo studio è emerso un ulteriore nuovo trend: la diffusione dei modelli di business purpose-driven non è una moda ma una richiesta dei clienti. Una sezione dello studio, gestita con la collaborazione della multinazionale della ricerca Yougov, offre uno scenario in cui per il 58% degli italiani i valori sono ‘decisivi’ nella scelta di brand e prodotti mentre un altro 33% li ritiene ‘importanti’, evidenziando quanto le tematiche sociali e ambientali siano diventate rilevanti. Sostenibilità ambientale, rispetto dei lavoratori, attenzione ai diritti sono alcuni degli obiettivi delle imprese che il consumatore valuta, superando la concezione che porrebbe sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale come due concetti contrapposti. I clienti si stanno quindi trasformando da semplice pubblico ad attori critici al centro della scena che vogliono interagire, conversare, condividere, osservare e giudicare. In particolare, gli italiani sono sempre più interessati ad approfondire i valori e il modello di business delle imprese e, di conseguenza, sono importanti anche le modalità di comunicazione che l’azienda usa per veicolare il proprio impegno sociale o ambientale: il 31% degli italiani ascolta la voce dei dipendenti dell’impresa; il 30% consulta bilanci di sostenibilità e altri report e rendiconti; un altro 29% si affida alle certificazioni di organismi indipendenti.

Le imprese del comparto complessivo di Economia della Bellezze si dimostrano più resilienti rispetto alle altre, anche nel biennio pandemico: resilienza di queste aziende che hanno contribuito al recupero del Pil nazionale, con un calo dei ricavi dal 2019 al 2021 dello 0,7%, molto più contenuto dunque rispetto al 4,6% delle altre imprese fuori perimetro. Le aziende del comparto trasversale di Economia della Bellezza nel 2021 hanno rappresentato il 24,1% del Pil nazionale.  

Carmelo Carbotti
Responsabile Marketing Strategico e Ufficio Studi Banca Ifis


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