La forma liquido-moderna di esenzione dalla sfera del giudizio morale è ricalcata sul modello della relazione consumatore-merce, e la sua efficacia si basa sul trasferimento di quel modello nell'ambito dei rapporti umani. (Bauman, Donskis, 2019)
La liquidità morale rappresenta il presupposto per lo smarrimento valoriale: cosa è bene è una domanda che oggi non ci facciamo più. Bauman descrive molto bene come questo fenomeno abbia portato alla spersonalizzazione dei rapporti umani passando all’utilizzo del modello commerciale, portando all’estremo della superficialità le relazioni abbassandole a livello di scambio di merci non di valori (vali tanto quanto puoi materialmente offrire o comprare). Il modello di relazione è tra consumatore e l’oggetto materiale del contendere. Ma se questa è la tendenza della società moderna la relazione con le parole, i gesti e il tempo che curano, il dolore e la bellezza su cosa poggiano?
La relazione è stata confinata allo scambio materiale, comunichiamo per chiedere o dare, per pretendere o vendere, l’utilizzo dei social ha limitato e impoverito il linguaggio riducendo il numero e la qualità delle parole e limitandone il significato, escludendo i sensi dalla relazione: l’intensità degli sguardi, il suono delle parole e il calore del tocco…sono sostituiti da una tastiera o uno schermo touch, relazionarsi così limita le percezioni e influisce sul contenuto del messaggio e sulla sua interpretazione.
Il dolore è afinalisitico e legato alla perdita di qualcosa di terreno, ci si dispera perché non si può avere il cellulare di ultima generazione o l’intervento di chirurgia plastica, o un auto, un abito...è diventato normale sentire che vengono uccisi bambini, donne, intere popolazioni...Si prova paura o rabbia verso persone diverse e si cerca di allontanarle... La pandemia con l’isolamento forzato ha acuito tutto questo mettendo ancora più distanza tra esseri umani.
La bellezza si lega al mero possesso di quello che la società propone come modello da seguire, non sei bello, non hai quella cosa bella.
Altra interessante analisi riguarda il concetto di “levigatezza” che, secondo Byung-ChulHal (2015) (filosofo coreano contemporaneo), rende il mondo senza increspature, senza espressione e senza difetti, lo si vede sui bene materiali quanto sui volti, toglie espressione, nega la sofferenza e ha la conseguenza di impoverire la vita impendendo alle esperienze non piacevoli (non per forza negative) di lasciare in noi un segno, quel segno che fa crescere.
Vito Mancuso ci consegna uno stimolo davvero interessante grazie al quale possiamo interiorizzare i valori per renderli nostri: la virtù della consapevolezza.
“Consapevolezza è prendere coscienza. Ho scritto il verbo prendere in corsivo per evidenziare questa azione attiva che rende a trasformare la coscienza in consapevolezza e farne una virtù. La coscienza infatti, in quanto organo di cognizione, accompagna da sempre il vivere e agisce spesso indipendentemente dalla ragione elaborando le informazioni necessarie e sotto questo profilo non è una virtù ma piuttosto una qualità. Essa però in quanto coscienza naturale che funge da centro di raccolta e di elaborazione delle informazioni è del tutto passiva rispetto alla vita; è solo reazione, non è azione. La coscienza cessa di essere reazione quando il soggetto prende coscienza. In questo caso la coscienza diviene attività, si trasforma in virtù e si chiama consapevolezza. Essere coscienti di qualcosa non è uguale ad esserne consapevoli, perché la coscienza si trasformi in consapevolezza come virtù serve una azione attiva, “prendere” coscienza, con tutto quello che ne consegue, significa trasformarla nella virtù della consapevolezza, solo così il nostro agito sarà anche responsabile, più siamo consapevoli più possiamo assumere responsabilità verso noi stessi, verso gli altri e le relazioni che intrecciamo…” (Masera 2019). Essere coscienti di qualcosa non è quindi uguale ad esserne consapevoli, perché la coscienza si trasformi in consapevolezza e produca un vero cambiamento e una crescita come virtù, serve una azione attiva “prendere” coscienza, accettando responsabilmente tutto quello che ne consegue. Solo così le nostre intuizioni morali, che ci rendono immediatamente certi di cosa riteniamo sia giusto nonostante non sia stato confrontato con altri principi e valori in gioco, attraverso il ragionamento etico che, in questo caso sta alla base della consapevolezza, diventano verità argomentative ed etiche (De Panfilis 2023).Le nostre decisioni e il nostro agito saranno responsabili, più siamo consapevoli più possiamo assumere responsabilità verso noi stessi, verso gli altri e le relazioni che intrecciamo.
Eppure basta davvero poco: un incontro, uno sguardo, un sorriso, un tocco...e improvvisamente torna chiaro quello che realmente vale.
La relazione è tempo di cura. Così precisa il nuovo Codice Deontologico delle Professioni (FNOPI; 2019) Infermieristiche all’articolo 4-Relazione di cura. Ma a quale relazione da quale tempo facciamo riferimento e soprattutto il tempo è dolore o bellezza?
Se lo vediamo come Krónos nel suo inesorabile scorrere che divora minuti, ore, mesi, anni insomma la vita come nella mitologia greca divorava i suoi figli uno scorrere quindi doloroso, quel dolore che non ha un fine ne un senso ne una motivazione che possa fare da trampolino per il cambiamento la comprensione la crescita (cosa ho concluso nella mia vita? Non ho una bella macchina o una casa grande o le vacanze da sogno...) il tempo mi sfugge dalle mani, non basta mai, lo devo ricorrere perché mi provoca un dolore che non capisco e non so più come affrontare, lo abbiamo vissuto durane la pandemia, lo scorrere dei giorni tra malati e malattia, tra parenti lontani (i nostri e quelli dei nostri assistiti), travolti da una novità che ci ha sopraffatti e costretti ad agire al di la del tempo ma invischiati nello stesso tempo che scorreva senza quasi farci pensare.
Ma...la mitologia ci consegna a perché la bellezza del tempo: nel testo Aver cura di sé Luigina Mortari (2019) afferma che il tempo va riempito di significato per non lasciare che “semplicemente passi, senza che nessun filo di senso possa essere disegnato nello spazio seppur breve del proprio divenire”, definendo così Kairós: il tempo giusto, opportuno, adatto, propizio e conveniente che determina la buona occasione per l’incontro con l’altro, la bellezza dell’incontro della conoscenza della relazione dello scambio che fa cambiare, comprendere crescere, che da senso anche al dolore o almeno gli da la possibilità di essere vissuto, elaborato e sfruttato fino a renderlo eterno come Aion, il tempo che si ferma e si fissa nella memoria nostra e degli altri, richiamabile ogni volta che serve perché supera il dolore senza fine per trovargli la bellezza e l’essenza dell’essere.
Affinché Kairós sia il tempo che viviamo è necessaria la motivazione ad affrontare e vivere il dolore, ad alleviare le sofferenze altrui, in una parola è necessario sperimentare la condizione umana della compassione, “chi prova compassione percepisce la forza di questa condivisione e della connessione con l’intero genere umano e subito sente sollievo. La compassione verso la persona sofferente risulta strettamente legata alla motivazione di aiutarla; dunque, dal provare compassione per gli altri, può derivare un sentimento positivo di ricompensa intrinseca (Zighetti, 2016), attraverso la compassione il dolore prende una forma più naturale lasciando la possibilità di sperimentarne il significato, fermarlo e elaborarlo nella relazione, nell’incontro e nel tempo.
Essere infermiere, in modo particolarmente intenso durante la pandemia, vuol dire aver sperimentato che la massima espressione del dolore che diventa bellezza dell’incontro si esplicita nel gesto assistenziale e di cura, descritto non a caso nell’articolo 24-cure nel fine vita, si perché anche nella cura della vita che porta la morte, cui si associa il dolore umano della perdita, poiché legato allo scorrere inesorabile di Kronós, noi possiamo recuperare la bellezza del gesto ricco di intenzionalità, compassione, competenza, gentilezza e incontro fermando così con Kairós l’attimo di massima bellezza eterno come Aion. Il dualismo dolore e bellezza è un costante incontro umano che ricerca l’equilibrio per accogliere il primo e esaltare la seconda.
Riconoscere e conoscere le storie dietro i volti, i legami dietro le storie e le emozioni dietro i legami, diventa indispensabile perché Kairos renda propizio il dolore. Ognuno di quei numeri che appare tanto sterile ha una intera vita connessa vissuta con gioia e sofferenza, ognuno di quei numeri ha vissuto paure e speranze, felicità e dolore. Abbiamo incontrato molti di quei numeri, guardato e comunicato con molti di quei volti, incrociato altrettanti legami, storie e vite...è la nostra meravigliosa professione. Poi improvvisamente uno di quei numeri è un volto conosciuto, i suoi legami sono i tuoi legami, le vite a lui connesse e le emozioni si sono incrociate con le tue fino a non essere più distinguibili separatamente e le gioie e la sofferenza sono anche tue...un giorno improvvisamente ogni numero vive negli sguardi incrociati, nel tempo fissato dalle emozioni e dai ricordi. Ogni numero ha un volto...ed è il mio stesso volto.
La relazione e il tempo ad essa dedicata non posso prescindere dal fattore umano che caratterizza gli attori coinvolti, all’interno di essa le persone (professionisti o cittadini che siano) portano il loro baglio culturale, morale e valoriale, in un tempo che cura e si cura della bellezza dell’incontro si apre una scenario legato alla libertà di esprimere e vivere quanto di proprio si porta. Nel suo testo del 2019 La cura con parole oneste Sandro Spinsanti afferma infatti che il rispetto della libertà degli agenti morali coinvolti è il nucleo centrale di un’etica per la società post-moderna e pluralista. Questo ideale di una convivenza pacifica, che rinuncia alla repressione, a meno che non sia giustificata come risposta a un atto di forza ingiusto, ha un prezzo: bisogna tollerare anche le possibili tragedie dei singoli le persone, nella loro libertà, possono fare scelte che altri considereranno sconsiderate e nocive e la moltiplicazione di concezioni morali alternative, che spesso renderanno impossibile un’azione comune in molti campi (Spinsanti 2019).
Nella relazione che cura l’incontro con l’altro è il fuoco che ci alimenta, oltre il tempo, il dolore, la fatica.
Bauman Z., Donskis L., (2019) Cecità morale. Milano, Laterza (pp. 20-22)
Byung-Chul Han (2015). La salvezza del bello. Milano: Edizioni Nottetempo
De Panfilis L. (2013). Appunti non riuniti del corso di Alta Formazione in Comunicazione in Sanità e Bioetica
FNOPI (2019) Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche. Roma
Masera G. (2021). Tracce di empatia. Per una consapevolezza, gentilezza e compassione. Torino: Effatà Editrice
Mortari L. (2019) Aver cura di sé. Milano, Raffaello Cortina Editore
Spinsanti S. (2019) La cura con parole oneste. Milano, Il Pensiero Scientifico Editore
Zighetti M. (2016) Parte terza-la società compassionevole. In: Zighetti M. Essere esseri umani. Milano: Edizioni D’Este.
Aurelio Filippini