Responsabilità etica in medicina è prendersi cura prima di tutto della persona. Intervista a Giorgio Macellari
Chirurgo e senologo, Giorgio Macellari è fondatore e attivamente partecipe della sezione emiliano-romagnola dell'Istituto Italiano di Bioetica. Presenza sempre significativa nei panel del Festival, anche quest'anno parteciperà portando una riflessione circa la responsabilità etica in medicina.
Nel "Manuale di etica per il giovane medico", il saggio che lei pubblicò nel 2016 firmandolo con Umberto Veronesi, il sottotitolo recita "Rivoluzione etica in medicina". In che modo le riflessioni alla base di questo libro rispondono al tema della 'Responsabilità' affrontato nell'edizione 2022 del Festival di Bioetica?
Il territorio della Responsabilità etica in ambito medico è talmente ampio che meriterebbe un intero Festival dedicato. Tralasciandone il dominio più “macroscopico” – che include il welfare, le istituzioni, le politiche sanitarie e la medicina territoriale (per citarne alcuni capisaldi) –, mi soffermerei piuttosto sui più “microscopici” ambiti relazionali, quelli che si articolano soprattutto nel rapporto diretto fra medici e malati: un rapporto a tal punto ricco di implicazioni etiche ed emotive da bilanciare gli aspetti puramente tecnico-scientifici che fanno da supporto alla medicina “evidence-based”, integrandoli opportunamente con quelli “moral-based” e alimentando il fiume ippocratico – inesauribile per definizione – della medicina rivolta alla persona.
Solo una visione della medicina imperniata su questo concetto, infatti, può generare il concetto di “responsabilità”. Un concetto filosoficamente ambiguo e debole, visto che la più comune definizione lo vincola alla capacità di prevedere le conseguenze delle proprie scelte e di rivederle alla luce di quelle: a parte l’impossibilità umana di fare previsioni attendibili sulle conseguenze a lunga scadenza, va aggiunto che nessuna nostra azione ne ha di sole buone o dannose e, infine, che manca un consenso generale sui criteri per giudicare il carattere moralmente buono o cattivo di una qualsivoglia conseguenza.
Ciò sottolineato, se si vuole recuperare pienamente il senso della responsabilità morale in ambito medico – destinata a svanire, se dovessimo applicare la definizione sopraddetta – prendo come buona la concezione etimologica del termine che, dal latino “respondēre”, richiama il medico all’obbligo di dare una risposta ai bisogni della persona malata, ovviamente non solo quelli materialmente legati all’affezione oggettiva, ma anche a quelli implicati dalla sfera soggettiva, affettiva e afflittiva, con un inevitabile passaggio dalla biologia alla biografia. Oltre alle imprescindibili “technical skills”, quindi, il bravo medico deve incorporare anche le “moral skills”, integrando il saper fare con il saper essere. Lo sfondo di questa rivoluzione etica è la rappresentazione di un nuovo dovere morale del medico che vuole esercitare con pienezza il suo mestiere, quello di curare conoscendo la persona malata nella sua profondità esistenziale. Come amava ripetere Umberto Veronesi “Bisogna amare la gente se si vuol fare il medico”, a conferma che per dare sostanza al concetto di responsabilità è necessario comprendere anche i bisogni più intimi, compresi quelli spirituali, delle persone che soffrono.
Con una laurea in Filosofia, oltre che in relazione alla sua lunga esperienza di medico, quali osservazioni si sente di fare affrontando il tema della Responsabilità in campo medico?
La mia passione filosofica – che ormai sta sempre più mutando in un interesse professionale – mi fa pensare alla Responsabilità in un’accezione particolare, richiamata dal ricordo di un grande film (ormai dimenticato) del regista svedese Ingmar Bergman “Il posto delle fragole”. Il suo protagonista, il settantottenne batteriologo professor Borg, si sta recando in treno a ritirare un prestigioso premio accademico per il suo giubileo professionale. Durante il viaggio si addormenta e, nel sogno, vede sé stesso entrare in un’aula universitaria dove un uomo cupo gli chiede, minaccioso: “Qual è il primo dovere del medico?” Il professor Borg, ammutolito e spaventato, non riesce a rispondere. Ma prima di riprendere coscienza e svegliarsi dal terribile incubo gli viene urlata in faccia la risposta: è chiedere perdono. Ma quale sarebbe il “peccato” che il professor Borg dovrebbe farsi perdonare? L’incompetenza, secondo il regista, cioè gli errori e i danni commessi per causa sua. Chiedere perdono significa allora ammettere di non sapere, la massima virtù socratica. Volendo interpretare in modo più elastico il pensiero di Bergman, si può immaginare che il professor Borg debba chiedere perdono per la presunzione – comune a molti di noi medici – di credere di poter davvero esaudire la domanda di ascolto e di attenzione insita in ogni relazione di cura. O, ancora, per il torto di non aver mostrato lo sguardo inconfondibile di chi è pronto a vegliare su chi soffre, come se fosse un figlio proprio. Insomma, per aver dimenticato la nostra umanità.
In questa interpretazione si può scoprire cosa significa essere malati. La malattia smette allora di essere un’immagine radiografica, un vetrino colorato, una fotografia endoscopica. E si fa sofferenza. Ma anche rivoluzione copernicana che scalza dal fulcro del mondo un sistema tecnico-sanitario impersonale e riporta il malato-persona al centro di tutti gli interessi.
Guardando al personale sanitario e anche alla cittadinanza, a suo modo di vedere la pandemia ha avuto un'influenza nell'idea di salute e di Responsabilità?
La pandemia ha impartito una serie di lezioni sonore alla nostra irresponsabilità. Prima lezione: lo “spillover” (il salto di specie del virus da certi animali a noi) non è causato dall’ambiente, ma dal nostro comportamento smodato; quel salto ci ha anche mostrato che la salute umana è il risultato a intreccio di molteplici e delicati equilibri che coinvolgono l’intero ecosistema, cui dobbiamo maggiore rispetto. Seconda lezione: nei momenti critici la pandemia ha obbligato a scelte tragiche in merito alla distribuzione delle risorse, ad esempio dei respiratori nei reparti di rianimazione: questo ha fatto ripensare il sistema sanitario, a dove dirigere gli investimenti per la salute collettiva e a quanto più finanziare la ricerca biomedica; ci ha anche costretti a cambiare alcuni paradigmi della medicina, passando dall’onnipotenza della tecnologia alla più umile saggezza del limite e riscrivendo il ruolo cruciale del medico d’oggi: sul quale non incombe l’obbligo di salvare la vita a tutti i costi e che quindi si deve porre al servizio prioritario non della vita, ma delle persone. Altra lezione: la pandemia ha riportato brutalmente la morte fra noi, una morte di massa alla cui vista è stato impossibile sottrarsi; così la morte abbiamo dovuto guardarla in faccia senza infingimenti; anche i riti funebri sono stati annullati, la gente ha dovuto officiare da sola, perché per ragioni profonde consideriamo un errore e un’incompiutezza non poterci accomiatare da chi ci è stato caro: evidentemente dobbiamo dare forma concreta ai nostri lutti, perché non rimangano come fantasmi che non riusciamo a seppellire. Poi c’è stata la lezione sul conflitto fra libertà individuale e responsabilità collettiva, combattuto fra coloro che si vaccinavano per proteggere anche gli altri e coloro che si rifiutavano invocando il presunto diritto di potersi comportare come più gli piaceva, nell’indifferenza verso le vite altrui.
Insomma, in tema di responsabilità la pandemia ci ha insegnato parecchie cose. Alcune semplici, come il corretto lavaggio delle mani o l’uso di una mascherina, capaci di salvare vite. Altre assai più complesse, ad esempio che la medicina non è onnipotente e che il suo ruolo non è evitare la morte, ma offrire alle persone gli strumenti per vivere a lungo e in salute; che la vita è fragile e che per proteggerla occorrono competenze e cooperazione; che per vivere è necessario morire, ma che proprio per questo la vita è un’occasione da non sprecare e un invito a ribaltare la scala delle nostre priorità, scremando il poco che è indispensabile dall’immensità delle cose superflue e rimettendo i valori che contano in cima alla scala.
Adesso viene la prova più difficile, conservare il ricordo di queste lezioni e tenercelo stretto perché, come ammoniva il filosofo George Santayana: “Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo”.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Premio Bioetica 2022 a Rossella Sobrero
Il Premio Bioetica 2022 è stato assegnato a Rossella Sobrero e le sarà consegnato nella serata conclusiva del Festival di Bioetica (Santa Margherita Ligure, 27 e 28 agosto 2022).
Rossella Sobrero si occupa da oltre 20 anni di comunicazione della Responsabilità Sociale d’Impresa e in tale ambito, insieme a Giacomo Ghidelli, ha fondato Koinètica, impresa che gestisce iniziative culturali e progetti editoriali in questo settore operando affinché “la sostenibilità non sia un’idea astratta ma un impegno concreto e continuativo”. Così nel sito è delineata la mission, spiegando che “lo sviluppo sostenibile è una nuova visione del mondo e un dovere non rimandabile”. Sobrero è docente all’Università degli Studi di Milano e all’Università Cattolica di Milano, presidente FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana), componente del CdA della Fondazione Pubblicità Progresso e del Consiglio Direttivo del Sustainabilty Makers. Da anni organizza Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale, ha creato il blog CSR e Dintorni, ha dato vita al network CSR natives, una rete di universitari e giovani appassionati di sostenibilità.
Professoressa Sobrero da oltre 20 anni si occupa di comunicazione sociale e di CSR e ha pubblicato alcuni libri sul tema della sostenibilità. Da cosa è nata questa attenzione e perché ha deciso di dedicarvi tante energie?
Alla base della mia scelta c’è stato l’interesse per la funzione sociale della comunicazione e la considerazione che la comunicazione è un asset fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi strategici di qualsiasi tipo di organizzazione. Ma deve essere una scelta consapevole e deve essere realizzata in modo professionale.
Quando è nata Koinètica, nel 2002, la CSR (Responsabilità Sociale d’Impresa) era oggetto dell’attenzione solo di una parte del mondo accademico e di alcune grandi imprese. Da allora molte cose per fortuna sono cambiate e crediamo di aver dato un piccolo contributo a questo cambiamento.
Nel 2005 Koinètica ha organizzato Dal Dire al Fare che è diventato nel 2012 Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale: oggi è l’appuntamento più atteso da chi crede nella sostenibilità. Riconosciuto come il principale evento in Italia dedicato a questi temi, il Salone ha contribuito alla diffusione della cultura della responsabilità sociale, offerto occasioni di aggiornamento, facilitato il networking tra i diversi attori sociali.
La 10° edizione è dedicata alle “Connessioni sostenibili”: siamo convinti che nel percorso verso lo sviluppo sostenibile è urgente migliorare il coordinamento delle strategie e delle azioni dei diversi attori sociali in una logica che va ben oltre la semplice collaborazione. Trovare soluzioni efficaci a problemi sociali e ambientali complessi non è facile: in un mondo interconnesso bisogna adottare un approccio multistakeholder e multidisciplinare mettendo insieme le competenze e le risorse di tutti.
Viviamo immersi in un flusso continuo di messaggi, anzi ne siamo sommersi. Il risultato, spesso, è che la comunicazione più che aiutare a scegliere, in realtà ci disorienta. Perché è importante comunicare in modo corretto la propria strategia di CSR?
In un momento in cui si parla molto di sostenibilità è ancor più necessario porre attenzione ai contenuti e alle modalità con cui si comunica. Dagli “enviromental claim” per promuovere in modo enfatico l’impegno ambientale alle immagini che evocano una dimensione valoriale non rispondente alla realtà: i rischi della comunicazione della sostenibilità possono essere di livello diverso.
Si discute molto del pericolo greenwashingper il sistema delle imprese. Per prima cosa perché incrina la fiducia dei consumatori e del mercato anche nei confronti di tutte le imprese anche di quelle che hanno scelto seriamente di modificare la propria strategia coniugando business con impegno sociale e ambientale. E, cosa ancor più grave, può indurre consumatori in buona fede ad acquistare prodotti non sostenibili o adottare comportamenti non corretti.
Abbiamo detto che si occupa di queste materie da due decenni, le chiediamo se ha visto dei cambiamenti maturare nel tempo?
Sono sempre di più le aziende che hanno deciso di assumersi una responsabilità in ambito sociale e ambientale e di partecipare al raggiungimento di obiettivi comuni. Oggi si parla di “Brand activism” per sottolineare che un’impresa non può essere un sistema chiuso ma deve diventare un soggetto capace di entrare in relazione con altri attori sociali. Sostenibilità e competitività non sono più due termini contrapposti: per restare sul mercato l’impresa deve ripensare l’organizzazione e la cultura interna, innovare le strategie di business, ridisegnare la relazione con gli stakeholder. Deve andare oltre l’attenzione ambientale e impegnarsi anche su finalità sociali: un passaggio significativo che sta modificando l’operato di molte aziende per allinearlo agli obiettivi dichiarati nei documenti aziendali.
Un cambiamento interessante è in corso anche nelle persone: molti, non solo giovani, hanno capito che nel processo di transizione ecologica il loro ruolo è molto importante. Questo significa partecipare alla gestione della cosa pubblica ma anche premiare le imprese più sostenibili. Lo si può fare informandosi, scegliendo un prodotto rispetto ad un altro, sostenendo con un click o un commento l’azienda che già percorre la strada della sostenibilità sociale e ambientale.
L’attivismo dei brand sta portando infatti conseguenze positive anche nel processo di decisione d’acquisto perché le persone preferiscono le imprese che si impegnano, che sono aperte, che condividono le preoccupazioni per il futuro.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Lo spazio etico: una prassi relazionale come contributo alla riorganizzazione delle prassi professionali. Intervista a Silvana Cagiada
In questa intervista Silvana Cagiada - psicologa clinica, psicoterapeuta, Presidente Istituto Italiano di Bioetica / Sezione Lombardia - sintetizza il senso e l’utilità dello Spazio Etico, un progetto presentato per la prima volta nel 2019 e che è stato proposto alla Regione Lombardia inteso come Ospedale di comunità (rivolto principalmente agli operatori sanitari) e Casa di comunità e cittadinanza (rivolto principalmente ai cittadini). Il tema sarà affrontato anche nella sua relazione al Festival di Bioetica che si tiene a Santa Margherita Ligure il 27 e 28 agosto 2022.
Quali sono gli sviluppi ‘sul campo’ con l’esperienza dello Spazio Etico avviata nel 2019?
L’Istituto Italiano di Bioetica ha esposto al pubblico, per la prima volta, il progetto Spazio Etico nel 2019, attraverso interviste e convegni e, sin da allora, lo “Spazio Etico” veniva associato all’umanizzazione della medicina, alla medicina di prossimità e alla possibilità, per gli operatori sanitari, di avere uno spazio e un tempo a disposizione, un laboratorio rivolto sia agli operatori sanitari che ai cittadini e alle associazioni che rappresentano le persone malate, per poter riflettere e confrontarsi sui propri dubbi, scelte, errori, in piena libertà, senza temere alcun giudizio, ma come stimolo e punto di forza per riacquisire nuove energie e forze nei momenti di stanchezza, per poi ripartire nella condivisione degli obiettivi.
Il 10 dicembre 2021, il CNB (Comitato Nazionale per la Bioetica), emana il documento “Vulnerabilità e cura nel welfare di comunità. il ruolo dello Spazio Etico per un dibattito pubblico”, esprimendo parere favorevole sul progetto.
Ora, nel 2022, ancora in piena pandemia, con il sistema socio-sanitario fortemente in crisi e, di conseguenza, con la mancanza in ambito pubblico di una attenzione etica e giuridica per le “fragilità”, la Bioetica affronta con progetti concreti il rapporto tra vulnerabilità e luoghi di assistenza e cura istituzionali (tematiche di inizio e fine vita, cronicità, malattia, disabilità, soggetti che partecipano a sperimentazioni cliniche), estende il progetto Spazio Etico anche a tutte le situazioni critiche, ulteriormente evidenziate dall’attuale emergenza anche là dove vanno oltre la dimensione biomedica (scuole, Università, aziende, palazzi di giustizia, carceri, centri di accoglienza).
Dalla sezione Lombardia dell’Istituto italiano di Bioetica è stato presentato un progetto alla regione. Quali sono gli obiettivi? A quali interlocutori avete pensato?
La Sezione Lombardia dell’IIB ha presentato un progetto concreto per l’istituzione di uno ‘Spazio Etico’ nell’ambito del ‘Progetto Milano’ e Welfare di comunità della Regione Lombardia. La proposta, già pubblicata su “Quotidiano Sanità”, riguarda la realizzazione di Case e Ospedali di comunità, ed è già stata inviata alla Giunta Regionale. Il nostro progetto prevede la promozione e la realizzazione di due diversi livelli di ‘Spazio etico’, uno rivolto principalmente agli operatori sanitari ed un secondo rivolto principalmente ai cittadini:
1. Spazio Etico e Ospedale di comunità
Si tratta di uno spazio dove professionisti sanitari (medici, infermieri, psicologi, biologi, veterinari e altre professionalità dove fosse necessario) possono confrontarsi, riflettere e affrontare temi che hanno come denominatore comune la riflessione etica in ambito della cura ed il racconto di vita professionale, anche in relazione a tematiche emergenti che riguardano, tra l'altro, la medicina difensiva e il testamento biologico. È fondamentale poter affrontare in uno spazio protetto posizioni delicate come la comunicazione di cattive notizie, le tematiche di fine vita, la discussione degli errori, il conflitto di interessi.
Sono previsti anche momenti riservati al benessere e al vissuto personale degli operatori, in particolare alla prevenzione e cura del burnout. Potranno anche costituire un'occasione in cui parlare del corpo e del pudore, della fatica e della paura, della morte e delle emozioni che accompagnano il lavoro di cura, identificando per quell’operatore, per quella persona, qual è il “suo” disagio… Si tratta certamente di un’azione in controtendenza rispetto ai “ritmi” imposti dall’azienda e dall’emergenza pandemica.
Si propone la realizzazione di un servizio votato al benessere degli operatori e gestito da professionisti esperti e competenti nella bioetica, uno scambio tra pari in cui però una componente è “formata” in funzione dell'ascolto e del sostegno.
2. Spazio Etico, Casa di comunità e cittadinanza
Si tratta di uno spazio in cui, oltre alla presenza di professionisti sanitari, è prevista la partecipazione dei cittadini (anche attraverso le Associazioni che rappresentano i malati), con le loro esperienze di malattia, i loro disagi in ambito sanitario, le loro difficoltà, in un confronto reciproco e rispettoso. Tema centrale sarà la ‘fragilità’, sia delle persone che delle loro famiglie e dei loro caregiver.
La nostra Sezione Lombardia dell’Istituto Italiano di Bioetica garantirà uno “sportello permanente” aperto al cittadino e condotto da professionisti della “relazione di aiuto” (medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, educatori, counselor) con competenze di ascolto attivo, capacità di attivazione di risorse e di gestione delle criticità di singoli o gruppi, ed esperti dei fondamenti della bioetica.
Tali professionisti, in fasce orarie e giornate prestabilite, faciliteranno la condivisione di esperienze quotidiane di disagio e/o malattia, contribuendo così alla “compliance” del malato e della famiglia, al suo percorso di consapevolezza, accettazione e coinvolgimento.
Saranno previsti anche momenti formativi rivolti al cittadino su temi riguardanti la percezione e autovalutazione del proprio stato di salute e benessere, la responsabilità personale nei percorsi di cura, la relazione con i caregiver e i curanti, e, quando fosse possibile l'attivazione delle risorse del territorio.
Ci saranno anche approfondimenti sui temi generali della bioetica che riguardano i rapporti tra uomo e natura, la responsabilità dell’uomo verso l’ambiente, il rispetto per gli animali e per il verde.
Non mancherà uno sportello di consulenza sia in materia legale che psicologica, rivolto sia agli operatori (sanitari e non) che ai cittadini e alle famiglie quando emergesse un bisogno in tempi rapidi di un primo orientamento. Nell’ambito dello sportello di consulenza, sarà presente anche un avvocato esperto in diritto di famiglia e in responsabilità medica, che possa costituire un concreto supporto per ogni dubbio in materia normativa, legislativa, di gestione patrimoniale per i cittadini, le famiglie, gli amministratori di sostegno, gli operatori sanitari.
Si dovrà costituire uno spazio in cui la vicinanza fisica della prestazione di un servizio (Casa di Comunità o Ospedale di Comunità) divenga anche, per quanto possibile, opportunità di sostegno e vicinanza morale, quindi una concreta realizzazione di un Welfare di comunità.
Per concludere, ribadisco che il modello Spazio Etico si inserisce in un concetto più complesso relativo al paradigma della persona, della vita, inteso come insieme di schemi di pensiero che determinano abitudini sintoniche o dissonanti con i desideri della persona stessa, in relazione al proprio modo di pensare e concepire la propria realtà per quanto riguarda la salute, il lavoro e le relazioni ossia connessioni significative e indispensabili tra l’uomo e l’ambiente. È qui che lo Spazio Etico trova la sua naturale collocazione.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Lo spazio etico nelle carceri: ipotesi possibile e a vantaggio della società. Intervista a Grazia Zuffa
Dove la perdita della libertà tende a comprimere tutti gli altri diritti (vedi diritto alla salute) l’importanza di un luogo di confronto e di possibile cambiamento. A partire dagli Istituti femminili
La Prof.ssa Grazia Zuffa - componente del Comitato Nazionale per la Bioetica, psicologa, PhD, svolge attività di ricerca e formazione nel campo dell'uso di droghe, delle dipendenze, del carcere - porta il suo contributo al Festival di Bioetica 2022 (Santa Margherita Ligure 27 e 28 agosto) affrontando il tema dello Spazio Etico in carcere. Le rivolgiamo alcune domande che possano introdurre l'argomento.
Prof.ssa Zuffa lei si è sempre interessata alla realtà carceraria, anche pubblicando dei libri. Quali sono (o sarebbero) a suo modo di vedere i benefici dello Spazio Etico nell'Istituzione carceraria?
La proposta dello Spazio Etico è interessante perché asseconda l’allargamento alla società del dibattito etico. Questa non è un’idea nuova, perché molti di noi che ci occupiamo di bioetica abbiamo sempre sostenuto che la bioetica non fosse solo un affare di esperti e di comitati istituzionali, ma che il corpo sociale dovesse essere coinvolto quanto più possibile. Lo Spazio Etico va oltre, perché offre un suggerimento operativo - si potrebbe dire - in tale direzione.
Che reazioni ha potuto riscontrare da parte della popolazione detenuta e da parte dell'apparato, pensiamo alle Guardie e agli operatori e operatrici sociali?
Rispetto alla problematica del carcere, la promozione di Spazi Etici sarebbe preziosa, proprio per la natura stessa del carcere, eticamente controversa. Si pensi alla questione cruciale dei diritti dei detenuti e delle detenute: questi dovrebbero essere tutti garantiti, alla pari degli altri cittadini, a parte ovviamente il diritto alla libertà personale. Ma ciò determina un conflitto, perché la perdita della libertà tende a comprimere tutti gli altri diritti: emblematico è il conflitto con il diritto alla salute, in particolare alla salute mentale. Tale conflitto, per di più, è in gran parte opaco, per il carattere stesso del carcere come luogo opaco di segregazione. In altri termini, i diritti dei detenuti/e rischiano di ridursi ad affermazioni di principio se le pratiche nel carcere non spingono in avanti il conflitto: in questo senso, la consapevolezza e la formazione etica di chi concretamente vive il carcere (detenuti/e, operatori della sicurezza, del sociale e del sanitario) è fondamentale e lo spazio etico, inteso come confronto fra i vari soggetti sulle contraddizioni che vivono nel quotidiano, può essere un valido strumento. Ovviamente, non ho avuto modo di sentire l’opinione dei vari operatori sulla proposta specifica dello Spazio Etico, ma nelle ricerche che ho condotto emerge in larga parte del personale (non in tutto) una tensione positiva per realizzare un carcere in cui si concretizzino i diritti costituzionali nel rispetto della soggettività delle persone detenute. Preciso che si tratta di operatrici donne, anche di diverse assistenti di Polizia penitenziaria.
Ha qualche considerazione specifica sulle donne detenute in relazione allo Spazio Etico?
Le carceri (o reparti) femminili, potrebbero funzionare come “laboratorio” di spazio etico nel carcere. Questo perché alcuni stereotipi del femminile tradizionale influiscono sull’atteggiamento verso le donne detenute, rendendo più pesante la sofferenza della carcerazione. Nelle nostre ricerche l’abbiamo chiamata la “sofferenza aggiuntiva”. In generale, nel carcere si attua un processo di “minorazione” della persona detenuta, conseguente allo stato di dipendenza totale in cui si trova. La “minorazione” è più accentuata per le donne però, e con caratteri differenti, perché si nutre della visione storica della donna come soggetto “debole", non pienamente responsabile, bisognosa di una guida (maschile). Non a caso, il carcere femminile di fine Ottocento e inizi Novecento si configurava più come un riformatorio, per riportare le donne nei binari stretti del modello femminile socialmente accettato. Oppure le donne finivano facilmente in manicomio. In altre parole, la tentazione “terapeutico-correzionale” attecchisce di più nel carcere femminile, e oggi le donne la vivono come una umiliazione e una perdita di sé (nel carcere mancano diritti e rispetto: sono le parole incisive di una donna detenuta, da noi intervistata qualche anno fa in un carcere della Toscana)".
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Lo spazio etico nella dimensione giuridica, intervista a Lucilla Gatt
Un luogo fisico (nei Tribunali o nei presidi di Polizia) per l’ascolto e l’aiuto sostanziale in attuazione dei diritti essenziali per i soggetti vulnerabili: ammalati, disabili, donne abusate, minori, anziani non autosufficienti
La Prof.ssa Avv. Lucilla Gatt - Ordinaria di diritto civile e diritto delle nuove tecnologie, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli - porta il suo contributo al Festival di Bioetica 2022 (Santa Margherita Ligure 27 e 28 agosto) affrontando il tema dello Spazio Etico dal punto di vista giuridico. Le rivolgiamo alcune domande che possano introdurre l'argomento.
Prof.ssa Gatt, dal suo punto di vista di giurista, qual è l'ambito di intervento dello Spazio Etico? E quale utilità può avere?
La categoria concettuale dello Spazio Etico, inteso specificamente come un luogo fisico di accoglienza e supporto professionale e umano di soggetti in difficoltà, assume una molteplicità di significati in ragione dei diversi contesti in cui il soggetto, in senso lato, vulnerabile viene a trovarsi ed ove si abbia riguardo alle diverse prospettive di tutela che possono essere assunte nei suoi confronti. Dal punto di vista del giurista lo Spazio Etico è uno strumento di attuazione dei diritti essenziali facenti capo ai soggetti deboli, agli indifesi, a coloro che devono necessariamente affidare ad altri il proprio percorso di risalita verso la guarigione dalla malattia, verso la libertà dalla violenza, verso la fuga da una vita non dignitosa.
Costoro sono gli ammalati, i disabili, le donne abusate, i minori contesi, quelli non accompagnati, abusati o abbandonati, gli anziani non autosufficienti. Essi necessitano, sì, di assistenza medica, di istruzione e di provvedimenti giudiziari pronunciati dal giudice ma prima ancora hanno bisogno di sentirsi ospitati in luoghi non ostili, hanno bisogno di cura e attenzione, di qualcuno cui rivolgersi e di cui fidarsi che li accompagni lungo il loro difficile cammino. Ne hanno bisogno per se stessi e per i loro familiari, eventualmente coinvolti.
Senza lo Spazio etico come “dove” cui concretamente recarsi per trovarvi personale qualificato che sia pronto all’ascolto ma anche all’aiuto sostanziale con attività adeguate, i diritti restano enunciazioni astratte prive di valenza fondante la civiltà di un ordinamento giuridico. Lo Spazio etico va pensato e costituito ovunque si intenda raggiungere gli obiettivi indicati e, dunque, non solo negli ospedali ma anche nelle scuole e nei centri sportivi e, soprattutto, nelle stazioni di polizia, nelle prefetture, nei tribunali e negli studi legali che si occupano di tutela dei vulnerabili.
Si è interessata anche agli Spazi Etici in relazione ai minori. Quali particolari circostanze ha incontrato?
Dando considerazione prioritaria al minore d’età quale soggetto vulnerabile per antonomasia, si vede come gli ambiti di operatività dello Spazio etico siano almeno tre: ospedaliero, scolastico e giudiziario. In riferimento a quest’ultimo contesto là dove si intenda dare reale attuazione del principio etico-giuridico del best interest of the child appare non più prorogabile la configurazione degli Spazi Etici nella loro componente sia soggettiva sia oggettiva. Più precisamente, la tutela del minore in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano impone la creazione presso tutte le strutture coinvolte nei procedimenti giudiziari percorsi da minori di Spazi Etici intesi nella duplice accezione di: 1) team di esperti che rendano effettivo l’esercizio del diritto del minore ad essere ascoltato e, più in generale, tutelato nelle procedure che lo riguardano: 2) luoghi fisici dedicati, adeguatamente arredati e dotati di personale specializzato in grado di interagire correttamente con il minore sia prima sia dopo sia durante l’ascolto o anche solo in situazioni di semplice attesa perché, comunque, in tutti questi casi il minore è particolarmente fragile ed esposto a gravi ed irreversibili danni morali.
Si potrebbe, addirittura, ipotizzare la previsione a livello normativo del criterio del minor by design quale criterio da osservare ab origine nella progettazione e ideazione architettonica di strutture, in senso lato, giudiziarie in cui devono trovare collocazione Spazi Etici concepiti come ambienti idonei ad ospitare un minore d’età che attenda - spesso molto a lungo - di essere ascoltato ovvero sottoposto ad altro esame o comunque introdotto ad una fase processuale che lo coinvolga direttamente o che coinvolga un genitore/tutore, e, dunque, di luoghi adeguatamente curati nell’impatto visivo e sensoriale per generare benessere in un minore d’età che vive una situazione altamente traumatica nonché dotati di personale titolato e adeguatamente preparato per lo svolgimento di compiti specifici.
Allo stato attuale la presenza di minori privi di qualsiasi assistenza, stazionanti per ore nei corridoiio sulle rampe di scale di edifici in cattivo stato di manutenzione (o in uffici freddi e inospitali) è una realtà che contrasta in modo stridente con tutti i principi fondanti le costituzioni e le carte dei diritti nazionali e sovranazionali in materia di tutela del minore d’età.
Questa proposta oggi ha già trovato una rilevante forma di attuazione presso la Polizia di Stato di Napoli che ha concepito e attrezzato uno Spazio dedicato all’accoglienza e all’ascolto/interrogatorio dei vulnerabili nell’edificio di Via Medina. Il Progetto, ideato e condotto dalle dott.sse Mara Simona Casale e Nunzia Brancati, sotto la supervisione del Questore in carica, rappresenta un unicum in Italia. La fase di sperimentazione sta per essere avviata in collaborazione con il Centro di Ricerca ReCEPL e il Master di Diritto di Famiglia dell’Università Suor Orsola Benincasa. Ciò attesta inequivocabilmente la fattibilità della proposta che qui si va sostenendo: l’auspicio è quello di una rapida diffusione del modello.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Lo spazio etico a scuola: indispensabile nel progetto educativo. Intervista a Paola Grimaldi
Dal contrasto al bullismo all’attenzione verso le disabilità, lo Spazio Etico per elaborare e gestire strategie di lavoro collaborativo coinvolgendo tutti: insegnanti, collaboratori scolastici, dirigenti scolastici, genitori e alunni
La Prof.ssa Paola Grimaldi - Ricercatrice di diritto privato RTD-A presso l'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e Senior Researcher presso il Research Centre of European Private Law, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli - porta il suo contributo al Festival di Bioetica 2022 (Santa Margherita Ligure 27 e 28 agosto) affrontando il tema dello Spazio Etico in ambito scolastico. Le rivolgiamo alcune domande che possano introdurre l'argomento.
Prof.ssa Grimaldi si è interessata al tema dello Spazio Etico in ambito scolastico, anche scrivendo dei saggi. Quali sono le sue considerazioni in merito?
Come dimostrato sempre più spesso dalle cronache di giornale, i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo si manifestano in particolare in ambito scolastico. In ragione di ciò, proprio nella scuola, il fenomeno andrebbe gestito in maniera specifica. Ad oggi, però, nella gran parte degli istituti scolastici manca non solo un sistema di monitoraggio permanente sul fenomeno bullismo ma anche un’azione sinergica di tutti gli attori del sistema scuola (insegnanti, collaboratori scolastici, dirigenti scolastici, genitori e alunni stessi) che dovrebbero essere uniti nella lotta al bullismo nelle sue molteplici manifestazioni.
Le dimensioni numeriche che il fenomeno del bullismo sta assumendo negli ultimi anni sono una chiara manifestazione di una gravissima patologia della società e quindi una patologia dell’educazione e della comunicazione che necessitano di una vera e propria rivoluzione del sistema educativo che agisca nella trasmissione dei valori della democrazia sin dalla scuola primaria. Nella scuola l’intervento non può che essere di natura corale, la cooperazione e la collaborazione nell’individuare le azioni di bullismo, di intervenire su di esse ma soprattutto, quando è ancora possibile, di prevenirle. In questa prospettiva si colloca la proposta di creazione dello Spazio Etico quale luogo fisico con personale dedicato, luogo protetto e rispettoso della privacy, dove puntare alla responsabilizzazione, alla rieducazione, ad iniziative miranti ad educare ovvero ri-educare, per esempio, anche ad un uso corretto e critico di Internet e dei videogame.
Nello Spazio Etico per le scuole andrebbero previste professionalità ulteriori rispetto a quelle già presenti in ogni istituto scolastico e, nello specifico, la figura del pedagogista, dello psicologo, del giurista, del bioeticista, del pediatra, del neuropsichiatra infantile in grado tutti, con un lavoro cooperativo, di progettare azioni ed interventi in grado di offrire adeguate opportunità educative tali da favorire interventi che perdano il carattere puramente repressivo a favore di altri e che consentano invece l'instaurarsi di relazioni sociali che, a partire dalla condizione di disagio del minore, facciano emergere il dialogo e l'autonomia. Il ruolo dello Spazio Etico nella scuola si estende al mondo della disabilità.
Ciò che bisogna riconoscere è che la persona disabile è un individuo con una propria identità, con una connotazione e delle caratteristiche proprie. La parola ‘disabile’, infatti, dichiara solamente che a un individuo mancano una o più competenze o abilità, ma non informa, in realtà, sul fatto che egli
possiede anche delle abilità. Si vede, dunque, come lo Spazio Etico nella scuola costituirebbe per la disabilità un luogo accogliente, a misura di disabile, nel quale figure professionali e specializzate sulla disabilità (pedagogisti, psicologi, psicoterapeuti, medici, giuristi, bioeticisti, ecc.) possano supportare l’istituto scolastico, nelle persone che lo rappresentano (dirigente, educatori, insegnanti di sostegno, ecc...) ed i genitori nello svolgimento di una serie di compiti ed attività, specifiche e spesso complesse, riguardanti il bambino disabile.
Lo Spazio Etico è anche il luogo in senso fisico dove definire e valorizzare, con l’aiuto ed il supporto degli esperti coinvolti, le strategie di lavoro collaborativo tra compagni di classe che rappresentano la risorsa più preziosa per attivare i processi inclusivi. Lo Spazio Etico, così inteso, supporta l’istituto scolastico nella redazione dei documenti e delle certificazioni relative agli alunni con disabilità frequentanti l’istituto stesso, così come prescritto dalla normativa vigente; sulla base della specifica documentazione così redatta, studiata e ben esaminata, attraverso l’aiuto degli esperti, si procederà agli itinerari di programmazione mirata dell’attività scolastica che saranno, evidentemente, orientati a rendere gli obiettivi e gli interventi educativi e didattici il più possibile adeguati alle esigenze e potenzialità evidenziate nella diagnosi funzionale.
Che difficoltà ha riscontrato nel proporre l'attivazione dello Spazio Etico?
Il Progetto dello Spazio Etico nelle scuole è stato da me proposto a vari dirigenti scolastici, alcuni dei quali continuano a manifestare scetticismo non tanto per quanto riguarda lo spazio da dedicare al fenomeno del bullismo - per il quale ho riscontrato una certa apertura alla creazione di attività e misure concrete per fronteggiare il fenomeno - ma invece per quanto concerne lo spazio da dedicare alla disabilità. Mi dispiace affermarlo, ma sul punto ho colto un grande disorientamento come se non si sapesse da dove cominciare per 'aggiustare il tiro' di una realtà scolastica su cui bisogna necessariamente ed urgentemente intervenire, anche a livello legislativo, soprattutto per porre fine alla discontinuità didattica che nuoce gravemente al disabile. Nonostante ciò, alcuni dirigenti mi hanno confermato la loro disponibilità ad avviare in via sperimentale lo Spazio ed uno Spazio Etico multidisciplinare è stato già realizzato in via sperimentale nel secondo semestre del 2020 presso i licei dell’Istituto scolastico Suor Orsola Benincasa a seguito della collaborazione tra professionisti di area legale, psicologica e pedagogica, tutti operanti presso l’Università Suor Orsola Benincasa, i quali, opportunamente coordinati, hanno elaborato il Progetto UNISOB/Scuole SOB denominato “TI ASCOLTO” i cui obiettivi sono stati in parte già realizzati e poi a causa del COVID-19 temporaneamente sospesi.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
La Responsabilità come faro dell’amministratore pubblico
La Responsabilità come faro dell’amministratore pubblico che ha cura della collettività e del futuro. La parola a Paolo Donadoni, sindaco di Santa Margherita Ligure, in vista del Festival di Bioetica (27/28 agosto 2022)
“La Responsabilità è un pilastro fondativo dell’amministratore pubblico, che deve agire nella consapevolezza che ogni cosa è fatta per la collettività cui appartiene. Quindi Responsabilità vuol dire anche serietà nell’affrontare e risolvere i problemi”. Così Paolo Donadoni declina la parola Responsabilità dal suo punto di vista di sindaco di Santa Margherita Ligure, cittadina che ospita la sesta edizione del Festival di Bioetica (27 e 28 agosto 2022) organizzata dall’Istituto Italiano di Bioetica. Donadoni ha creduto nel Festival fin dalla prima edizione, condividendo lo spirito di una bioetica aperta al confronto con l’attualità. Partendo dal filo conduttore di questa edizione, ‘La Responsabilità’, abbiamo chiesto al primo cittadino a quali altre parole la associa.
“Se la intendiamo in senso bioetico, Responsabilità può essere associata a parole come ecologia o futuro, ovvero alla consapevolezza. Il grande tema oggi è costruire prospettive rispetto all’antropocene, cioè rispetto a questo rapporto squilibrato tra gli umani e il loro mondo vivente cioè la flora, la fauna, il pianeta in cui viviamo. Da tempo sappiamo che è una situazione completamente alterata che richiede la costruzione di nuovi equilibri; quindi la nostra Responsabilità sta nell’acquisire questa consapevolezza, nel diffonderla a livello di cittadinanza e nel pensare quale può essere il percorso. Perché le soluzioni che possiamo realizzare non sono immediate, si tratta di individuare percorsi da costruire per avvicinarsi ad un punto di equilibrio. Questo vuol dire pensare al futuro, capire che nel nostro presente con i nostri comportamenti e con il nostro agire stiamo costruendo il futuro di noi stessi e delle prossime generazioni. Ecco perché alla parola Responsabilità associo la parola futuro e la parola ecologia. Questo credo sia un faro che va posto come obiettivo anche dell’azione amministrativa. Santa Margherita Ligure, in particolare negli ultimi anni, sta cercando di valorizzare il suo profilo ambientale, green, di ecosostenibilità. Passo dopo passo cerca di migliorare questa sua caratteristica in modo che diventi anche qualità amministrativa. Penso ai risultati che hanno ottenuto certificazioni come la Bandiera Blu per la qualità delle acque legate alla balneazione e la Bandiera Lilla per la qualità dell’accoglienza delle persone con disabilita e per chi ha difficoltà motorie sul territorio. Penso al Primo premio nazionale dei comuni virtuosi per l’Impronta Ecologica Comunale e al Primo premio dei Comuni Ricicloni in Regione Liguria. Sono riconoscimenti che testimoniano un processo in atto di attenzione nei confronti dell’ambiente, che è il nostro grande valore visto che Santa Margherita Ligure è inserita in due straordinari tesori naturali: il Parco Terrestre e il Parco Marino di Portofino, due importanti riserve di biodiversità oltreché di bellezza da condividere con gli altri”.
L’emergenza sanitaria globale e le sue conseguenze entrano inevitabilmente in campo in questa conversazione, intrecciandosi con nuove ed eccezionali questioni, a questo proposito Donadoni sottolinea che “la grande pandemia e la crisi dell’antropocene, due criticità importanti che stanno segnando la contemporaneità, ci obbligano alla Responsabilità di costruire risposte concrete ed operative a partire dalla consapevolezza e adottando anche cambi di registro radicali. Oggi è necessario rifondare, poiché la situazione attuale è una delle più gravi e difficili con cui l’essere umano si è confrontato. In questo frangente ciò che deve emergere è il senso di comunità. Nella specie homo sapiens dobbiamo ricostituire un senso di fratellanza che vada aldilà dei confini di specie e che ci ricollochi all’interno del mondo vivente nel senso più ampio, dobbiamo capire che siamo una specie animale che vive insieme alle altre specie viventi, animali e vegetali. È un rapporto che va ricostituito nelle sue fondamenta per trovare nuovi punti di equilibrio in cui il progresso umano non sia necessariamente conflittuale nell’interazione con gli altri esseri viventi. Questo è uno dei grandi obiettivi che ci troviamo di fronte e che non possiamo delegare alle prossime generazioni. Dobbiamo farcene carico noi, con senso di Responsabilità, appunto!”.
Tiziana Bartolini
La bioetica, il Festival 2022, la responsabilità e lo spazio etico. la parola a Luisella Battaglia
Il 27 e 28 agosto 2022 si tiene la sesta edizione del Festival di Bioetica, organizzata come ogni anno a Santa Margherita Ligure dall'Istituto Italiano di Bioetica. Chiediamo alla professoressa Luisella Battaglia, ideatrice della manifestazione, di introdurci al tema che è al centro di questo appuntamento: La Responsabilità, in relazione alle connessioni con l’approccio bioetico.
Nel suo ultimo libro 'Bioetica' (ed Bibliografica, 2022) riassume, appunto, i temi affrontati nelle varie edizioni del Festival e porge al lettore profonde osservazioni sull'importanza della bioetica, come chiave di lettura del mondo e degli interrogativi che i cambiamenti ci pongono. Perché non si può fare a meno della Bioetica?
La scelta dell’argomento del Festival di quest’anno è legata al fatto che la responsabilità è ormai divenuta la parola chiave del presente e del futuro. In che mondo vivremo? Lo sviluppo tumultuoso delle scienze e delle tecnologie pone problemi inediti riferibili non solo alle zone di frontiera dell’esistenza umana - come la nascita e la morte - ma anche alla vita quotidiana di tutti noi. È la prima volta nella storia che l’umanità nella sua universalità è implicata in un processo irreversibile di trasformazione della natura e di se stessa. Da qui la necessità - per riprendere le parole del filosofo Hans Jonas - di un ‘etica per la civiltà tecnologica’, compito primario cui è chiamata la bioetica. Ciò implica la ricerca di principi che ci mettano in grado di occuparci di questioni di cui l’umanità non si era mai occupata prima. I poteri che abbiamo acquisito esigono infatti, per la loro stessa ampiezza spazio-temporale, una nuova idea della responsabilità - una responsabilità ampia che arrivi fin dove arrivano le nostre capacità e che quindi tenga conto della dimensione planetaria delle nostre azioni e dell’impatto che avranno sulle generazioni future e sulle altre specie. Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano potrebbe, secondo Jonas, suonare così: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”. Oppure, tradotto in negativo: “Agisci in modo tale che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita”. Per questo, se intendiamo l’agire umano come un immenso campo di realizzazione dei possibili, non potremmo esimerci dal determinare, tra quei possibili, quali è lecito realizzare, quali debbono esserlo, quali infine non debbono esserlo. Regolamentare - va detto con estrema chiarezza - non significa opporsi al progresso della scienza e della tecnologia: significa solo che vi sono fini e valori globali d’importanza primaria che occorre salvaguardare e che esulano dal più ristretto campo dell’impresa tecnologica, nella consapevolezza che lo sviluppo tecno-scientifico dovrebbe essere vincolato al criterio della salvaguardia della dignità e dell’integrità dell’uomo e degli altri viventi.
Un evento che giunge alla sesta edizione ha maturato un curriculum di tutto rispetto. È anche interessante elencare i temi che negli anni sono stati affrontati: La Giustizia (2021), La Cura (2020), Il Futuro (2019), La Felicità (2018), La Salute (2017). Guardando questo percorso, quali riflessioni si sente di condividere?
Guardando al percorso complessivo del Festival mi sembra di poter identificare, nella varietà dei temi affrontati, l’affermazione di un’idea della bioetica come “scienza della sopravvivenza dell’uomo nell’ecosistema”, secondo la definizione del medico oncologo Van Potter in un celebre testo del 1971, “Bioethics: a Bridge to the Future”. La sua visione conteneva un’intuizione precorritrice, quella di una bioetica globale in cui medicina, biologia,scienze della vita,ecologia, etologia entravano in dialogo con la filosofia e con l’etica per realizzare un incontro tra “le due culture”: l’area scientifica e l’area umanistica. Oggi, a causa dell’emergenza pandemica - che ci ha messo con lo spillover di fronte alla strettissima interrelazione tra problemi relativi alla salute umana, ambientale e animale (non a caso si parla di One Health) - siamo in grado di valutare l’importanza di una prospettiva globale e della necessità di un approccio interdisciplinare - esemplato più modernamente dal pensiero della complessità di Edgar Morin - per dare risposte adeguate alle sfide che ci attendono.Seguendo questo approccio il Festival ha inteso attivare una riflessione critica sui problemi posti dalla “rivoluzione biologica” con le nuove possibilità offerte dalle biotecnologie per la nostra vita. Da qui una serie di interrogativi affrontati nelle varie edizioni: come concepire l’idea di salute in relazione alle prospettive aperte dai progressi della medicina? Come uscire dal ‘presentismo’ e fare “esercizi di futuro’a partire dai cambiamenti epocali di cui siamo testimoni? Come ridefinire il concetto di prossimo e quindi i confini del nostro universo morale? Come ripensare l’idea di felicità passando dal ‘benessere’ al ‘benvivere’? Come rivendicare la centralità della cura in ambito etico e politico? Come delineare le nuove frontiere della giustizia in nome dei soggetti più vulnerabili? Questioni che ci chiamano a un ripensamento dell’etica, della politica, dell’economia, del diritto in termini sia domestici che planetari e in relazione a parametri che dovrebbero corrispondere agli interessi non solo dell’umanità attuale ma anche delle generazioni future, dell’ambiente e degli animali non umani. Per questo la bioetica è chiamata in causa.
Professoressa Battaglia, il tema della Responsabilità è davvero molto ampio e si presta ad essere affrontato da molti punti di vista. Quale sarà l'approccio che è stato scelto per la due giorni del Festival 2022?
La bioetica resta ancora per molti un termine misterioso, un neologismo oscuro che sembra alludere a una sorta di ibrido tra la biologia e l’etica, associato spesso a immagini inquietanti, dal mito originario di Pandora al fantasma onnipresente di Frankenstein: immagini tutte destinate a ingenerare timore e a invitare all’astensione. Come definire dunque la bioetica al di là del sensazionalismo dei mass media? Semplicemente come un’etica della scienza che ha per oggetto di studio i problemi morali, giuridici, sociali indotti dagli sviluppi della biologia e, in genere, delle scienze della vita. Più che una vera e propria disciplina, potrebbe quindi considerarsi un campo di indagine in cui si incontrano le più diverse discipline chiamate a riflettere su un tema centrale - il bios, il mondo della vita - alla luce di un fuoco d’interesse unitario, quello etico.La stessa complessità delle questioni affrontate è infatti tale che la considerazione di tutti i loro aspetti (filosofici, giuridici, psicologici, economici etc.) esige una pluralità di competenze e, quindi, la partecipazione di studiosi delle più varie aree di ricerca. Da qui la sua vocazione interdisciplinare. Ma altrettanto importante è il suo ruolo di etica applicata, chiamata a elaborare proposte concrete e a promuovere iniziative in ambito sociale e politico. Si tratta di quello che chiamerei il ruolo “creativo” della bioetica che anima fin dalle sue origini, nel 1993, l’Istituto Italiano di Bioetica. Una delle proposte più recenti, che sarà al centro del dibattito e delle riflessioni del Festival, è quella dell’introduzione nel nostro paese dello Spazio etico, un organismo modellato sull’esempio dell’Espace ethique de l’assistence publique, operante in Francia da circa un trentennio. Inteso come luogo di ascolto e di incontro in diversi ambiti (sanitario, scolastico, giudiziario, carcerario) si propone di dar voce ai singoli cittadini e alle associazioni che li rappresentano al fine di favorire il dialogo e il confronto delle idee, di condividere esperienze di vita e di contribuire allo sviluppo di un “welfare di comunità” in grado di costruire nuove forme di assistenza e di cura. Sono questi i temi a cui l’Istituto ha dedicato negli anni una costante attenzione. Centrale, ancora una volta, è la questione della vulnerabilità - intesa sia come condizione specifica di soggetti deboli che richiedono particolare protezione, sia anche, e soprattutto, come riconoscimento di una condizione strutturale che accomuna tutti i viventi - e la risposta positiva di un’etica della cura in cui ravvisare la vocazione più autentica dell’umano.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Intervista a Maria Galasso: Cecilia Ravera Oneto in mostra
In occasione del Festival di Bioetica a Villa Durazzo (27 e 28 agosto, Santa Margherita Ligure) esposizione dal titolo "Coloriamo la vita". Intervista a Maria Galasso, curatrice della mostra
Per la sesta edizione del Festival di Bioetica 2022, organizzato dall'Istituto Italiano di Bioetica a Santa Margherita Ligure il 27 e 28 agosto, nella prestigiosa sede di Villa Durazzo saranno esposte alcune tele di Cecilia Ravera Oneto, artista che ha espresso il suo pensiero attraverso opere che hanno anticipato il dibattito culturale e sociale della Bioetica. Intervista a Maria Galasso, curatrice della mostra "Coloriamo la vita".Durante la sesta edizione del Festival di Bioetica lo spazio riservato alla pittura è dedicato esclusivamente a Cecilia Ravera Oneto. Perché questa scelta?
Cecilia si è presa cura della Natura, ricercando in essa il suo battito vitale, ha posto attenzione sulla dignità della persona, sia in ambito medico, che lavorativo. La mostra si sviluppa all'insegna della Responsabilità, che nelle sue espressioni artistiche si è declinata con senso etico, teso ad affrontare le grandi questioni della vita in tutte le sue forme.
Che significato ha avuto questa pittrice per la sua terra?
Cecilia Ravera Oneto ha amato la terra ligure che, per la sua bellezza, rappresentava una condizione da salvaguardare e si poneva come esempio da condividere nei vari contesti nazionali, e non solo, sostenendo, come finalità primaria il Rispetto per l'Ambiente. La relazione che, come donna impegnata nel sociale, sentiva verso tutti gli esseri umani era intrisa di libertà e di giustizia sociale. Amava dipingere le fabbriche, volendone riscattare il Colore che l'inquinamento distruggeva con avidità.
Quali opere saranno esposte e in quali giorni?
Saranno esposte opere sulla Natura, sull'Ambiente industriale e medico. Non mancherà un suo autoritratto autorevole e verso la fine della sua vita quello più marcato e pensieroso. La mostra avrà come titolo: "Coloriamo la vita" proprio perché Cecilia lascia a ciascuno di noi il compito della Responsabilità senza cui nulla è possibile.
Intervista di Tiziana Bartolini
Guardare oltre il PIL, ripensando il mercato e il profitto. Intervista a Franco Manti
Franco Manti, professore associato all'Università di Genova, è tra i fondatori dell'Istituto Italiano di Bioetica e collabora attivamente all'organizzazione del Festival di Bioetica che anche quest’anno si tiene a Santa Margherita Ligure (27 e 28 agosto 2022). Il tema della RESPONSABILITÀ è al centro delle riflessioni nelle varie tavole rotonde e negli incontri.
In questa sesta edizione Franco Manti ha curato l'organizzazione del panel dal titolo La responsabilità etica e sociale delle imprese. Su questo argomento gli rivolgiamo alcune domande.
Stiamo attraversando una fase piuttosto complessa anche per l'economia, occorre rimettere in discussione alcuni principi che fino a poco tempo fa sembravano vincenti e insostituibili. Pensiamo al libero mercato come organizzazione degli scambi di merci e al profitto come obiettivo principale. Qual è la sua opinione, in generale?
Per rispondere, sinteticamente, a questa domanda, partirei da alcuni dati di fatto: a livello di teoria economica si sta affermando, sempre più, l’idea che l’economia del benessere classica basata su un modello di crescita puramente quantitativo non sia in grado di rispondere alle esigenze ed emergenze del nostro tempo. La situazione determinatasi con il Covid ne è un esempio eclatante; il PIL non solo è da considerarsi un criterio di misurazione riduzionista e parziale, ma addirittura, se assunto quale paradigma relativo al nostro benessere, una misura sbagliata delle nostre vite come affermano Sen, Stiglitz, Fitoussi. Riguardo alle imprese, le rilevazioni effettuate su aziende di grande successo economico nei diversi mercati mondiali dimostrano che, fra i fattori che determino il loro valore di mercato, circa il 40% non corrisponde ai capital assets, ma dagli aspetti intangibili identificati come intelectual assets. Poiché l’economia di mercato, allo stato attuale, resta comunque il contesto nel quale si determinano le relazioni economiche; si tratta di ripensare il mercato e il profitto non come fini, ma come mezzi capaci di produrre valore (materiale e immateriale) e un benessere che consente di ridurre le disuguaglianze fra gli Stati e al loro interno. La responsabilità sociale delle imprese, degli operatori economici ai diversi livelli, della politica e dei governi si gioca su questo terreno. Ciò significa che dobbiamo definitivamente uscire dall’idea che i mercati, come fossero persone, decidono indipendentemente e autonomamente. Si tratta, a ben vedere, della giustificazione ideologica di una sorta di deresponsabilizzazione. In realtà, chi decide e ne ha la responsabilità siamo noi che, a diversi livelli, operiamo scelte di mercato. Per questo le teorie (e le conseguenti pratiche) della giustizia costituiscono il punto d’incontro e il terreno di una nuova alleanza fra etica, politica ed economia. Al di fuori di questa prospettiva, la sostenibilità che va intesa, insieme, come ambientale, economica e sociale, non risulta effettivamente praticabile e si riduce e un “espediente” retorico - propagandistico.
Quale criterio l'ha guidata nella costruzione della tavola rotonda che modererà il 27 agosto a Santa Margherita Ligure, nell'ambito del Festival di Bioetica? Quali relatori e relatrici ha coinvolto?
Il criterio è stato quello di divulgare a un pubblico di non specialisti, come quello del Festival, pratiche virtuose e idee coerenti con la visione di cui ho detto, rispondendo alla precedente domanda. Molto importante sarà anche il confronto fra esperienze e realtà diverse, accomunate, però, da una visione non strumentale della responsabilità sociale delle imprese. Quanto ai partecipanti alla tavola rotonda, il Dott. Maurizio Caviglia (Segretario Generale CCIAA Genova) è stato coinvolto in considerazione del ruolo strategico e d’indirizzo e di consulenza alle imprese che esercita un’istituzione come la Camera di Commercio, Industria, Agricoltura, Artigianato; il Dott. Mario Greganti rappresenta un’esperienza di Responsabilità sociale d’impresa come quella delle Distillerie Fratelli Branca estremamente significativa; il Prof. Riccardo Spinelli, docente di Etica Economica e responsabilità sociale delle imprese, è impegnato nella ricerca relativa ala nuova visione dell’economia in generale e della responsabilità Sociale d’Impresa, in particolare, e a proporla ai suoi studenti all’interno del Dipartimento di Economia dell’Ateneo Genovese; Paola Rizzitelli, consulente di marketing del benessere, ha sviluppato in maniere originale, l’idea di una nuova visione e pratica dell’economia con particolare riferimento al wellness economy.
Intervista di Tiziana Bartolini
Nota Biografica
Franco Manti docente di Etica Sociale, Etica della Comunicazione, Comunicazione etico - sociale d’impresa presso l’Università di Genova; Direttore International Research Office for Bioethics Education (European Centre for Bioethics and Quality of Life – International Chair of Bioethis); Direttore di EtApp Laboratorio di ricerca per le etiche applicate DISFOR-Università di Genova; presidente del CdG del Master Universitario di II livello in Pratiche di Filosofia; componente dell’Accademia Italiana per la Finanza Sostenibile, di Athena network universitario di Pubblicità Progresso. È stato Segretario generale dell’Istituto italiano di Bioetica. premio S. Francesco Città di Genova (2005); Premo Bioetica UNESCO Italian unit (2020). Ha pubblicato numerosi saggi e volumi su temi di etica, bioetica, filosofia politica.
Etica dell'ambiente, economia circolare e responsabilità. Intervista a Pinuccia Montanari
Il contributo di Pinuccia Montanari al Festival di Bioetica 2022 (Santa Margherita Ligure 27 e 28 agosto) è incentrato su “Etica dell’ambiente. Economia circolare. Riduzione e emissioni CO2”. Grazie alle sue competenze nel campo specifico, la dr.ssa Montanari svolge anche il ruolo di Coordinatrice del Comitato scientifico dell’Ecoistituto ReGe, realtà che collabora con l’Istituto Italiano di Bioetica nell’organizzazione dell’evento. Le rivolgiamo alcune domande a partire dalle premesse del suo ragionamento .
Perché ha scelto di fare riferimento ad un testo deglianni Settanta: ‘ I limiti dello sviluppo’ elaborato dal Club di Roma ?
Il testo ‘ I limiti dello sviluppo’ elaborato dal Club di Roma oramai tanti anni fa e diffusissimo negli anni settanta ed ottanta esaminava 5 fattori nell’analisi di prospettiva, rispetto allo scenario del mondo •
1. Crescita dell’industrializzazione
- 2. Aumento della popolazione
- 3. Insufficienza di cibo ed acqua
- 4 progressivo consumo di risorse non rinnovabili
- 5 . Deterioramento dell’ambiente per inquinamento
Le considerazioni più importanti che emergevano erano importanti allora, ma lo sono ancor oggi ovvero I limiti fisici della crescita economica saranno superati con disastrose conseguenze, se si faranno scelte a breve termine e localistiche, senza una visione globale del pianeta. Il riequilibrio dell’incremento demografico e della produzione materiale devono tener conto dei vincoli posti dall’ambiente e dal progressivo esaurimento delle risorse non rinnovabili ( il bel libro di Enzo TiezziTempi storici, tempi biologici riprendeva queste tematiche). Esistono dei Limiti del PIANETA nell’assorbire le varie forme di inquinamento prodotte dallo sviluppo (Gas a effetto serra, CO2, Biodiversità in declino con conseguense sugli equilibri dell’ecosistema complessivo)
Lei ha analizzato la produzione di CO2 in relazione ad eventi straordinari di impatto globale quale: la pandemia, la guerra o la crisi finanziaria del 2008. Vuole condividere con noi le considerazioni che ha elaborato sulla base di quanto ha osservato?
Ho esaminato i dati relativi alla CO2 ed ho effettuato un confronto 2020-2021 rispetto al 2019. Nel 2020 si è verificato 6.3% in meno di Co2 rispetto al 2019. Nel 2021abbiamo assistito ad un aumento del 4,8% in più rispetto al 2020 e 1,5% in meno rispetto al 2019.
Gli Obiettivi da realizzare ( abbiamo aderito come paese Italia ) sono chiari ovvero meno 4% annuo (in base all’Accordo Parigi) e Meno 8% annuo (in base ai Patti di Glasgow)
È interessante mettere a confronto la riduzione di CO2 quando capitano eventi straordinari : durante la Crisi finanziaria del 2008-2009 la riduzione della CO2 è stata di 380 milioni di tonnellate •
Durante la seconda guerra la riduzione di Co2 è stata stimata in 840 milioni di tonnellate . La riduzione della CO2 è stata mondiale
Chi contribuisce di più alla produzione di Co2
Chi contribuisce a emissioni di CO2?
In primo luogo i Combustibili fossili
poi la Produzione di cemento : insieme nel 2019 hanno prodotto 35332 milioni di tonnelate di Co2
- Nel 2020 abbiamo ridotto del 6,3% la produzione di CO2 in questi settori ovvero 2332 milioni di tonnellate
Un altro elemento che ho analizzato riguarda l’Inquinamento No2 prima e durante il lockdown Vanno poi esaminati con attenzione gli effetti del cambiamento climatico e Le conseguenze del cambiamento climatico La foresta amazzonica non è più il polmone verde del mondo. Infatti negli ultimi 10 anni la foresta amazzonica ha rilasciato il 20% in più di Co 2 rispetto a quella assorbita. Mi sono riferita ad una ricerca che è frutto di un progetto denominato Carbon monitor, realizzato da istituzioni importanti istituti di ricerca
Principali settori della ricerca esaminati
- Generazione di energia
- Industria
- Trasporto su terra( meno 11% di Co2 in epoca Covid ovvero 709 milioni di ton)
- Trasporto aereo ( meno 23% ovvero meno 503 milioni di ton. Di Co2)
- Uso residenziale
I Paesi che sono stati considerati (12) hanno ridotto la CO2 in modo significativo ovvero Brasile (-9,7%)Usa ( -9,5%), Spagna(-12,7%) Francia(-9%), Regno Unito(-8,8%), Italia e Germania (-7%) Ho poi riscontrato una correlazione tra COVID e domanda di energia
Nei mesi Marzo-Maggio 2020 abbiamo constatato Meno 1877 GWh al giorno
- 3120 morti al giorno-
- Meno 5 milioni di tonnelate di CO2
Nel periodo Ottobre-dicembre 2020 il dato era
- Meno 11,3 GWh al giorno • 4684 morti
- Meno 0,5 milioni di Co2
Sulla base di queste evidenze si può ipotizzare una correlazione di questo genere
- Meno energia consumata, meno morti per Covid, più CO2 risparmiata
- Più energia consumata, più morti per Covid ,meno Co2 risparmiata
Alla luce di quanto ha descritto, quali cambiamenti occorre attuare nel breve e medio termine?
La domanda è corretta. Quali sono le azioni da mettere in campo per ridurre la CO2? Tento qualche suggestione e proposta
- 1. Lo smart working ha contribuito( nel settore del trasporto terra) per il 11% alla riduzione di CO2 durante il lockdown ( ricordiamoci che per mantenere gli impegni di Glasgow dovremmo ridurre annualmente la CO2 del 8%)
- 2.Economia circolare può contribuire alla riduzione di CO2 basandosi sul recupero di materia
- 3. La piantumazione di alberi può sensibilmente contribuire alla riduzione della CO2
- 4. Le città hanno un ruolo determinante con i Piani per l’energia sostenibile e per il clima( attraverso efficienza energetica, risparmio energetico, utilizzo di fonti rinnovabili, mobilità sostenibile)
- 5. I comportamenti sostenibili possono contribuire a ridurre la CO2: ad esempio bisognerebbe rendere obbligatori i piani per la riduzione della produzione dei rifiuti
- 6. Giustizia climatica
- 7. Democrazia ecologica
Una delle possibili risposte riguarda l’economia circolare. Occorre passare da un’economia linerare che crea valore perso ( produco, utilizzo, scarto) ad un’economia circolare che crea valore aggiunto basata sul recupero di materia ( produco, utilizzo, recupero) Ciò fa bene all’ambiente e al lavoro
Ci sono due tipi di flussi : i flussi biologici che possono essere reimmessi in natura e fanno fronte ai problemi di desertificazione, impoverimento dei suoli, ecc.. Poi ci sono i flussi tecnici che possono essere reimmessi nel ciclo produttivo in una nuova ECONOMIA CIRCOLARE, basata sul recupero di materia ( efficienza nell’uso delle materie, effetti positivi su lavoro e ambiente)
Dall’analisi effettuata dal Progetto Carbon Monitor emerge come la scelta dello smart working sia essenziale per ridurre la CO2 e mantenere gli impegni assunti a Glasgow. Questa prospettiva è a mio avviso necessaria perché si realizzi un’autentica prospettiva etica per il futuro dell’ambiente, della salute e degli ecosistemi.
Che ruolo ha il PNRR nel quadro generale che ci ha descritto?
- Oggi occorre vegliare sul PNNR per verificare che ogni progetto rispetti la Direttiva DNSH per due ragioni
- 1. Perché il PNRR nasce dalla necessità di far fronte ai cambiamenti climatici
- 2. Perché i fondi saranno erogati se si rispettano i criteri indicati nel principio DNSH ( Non arrecare danno significativo all’ambiente, alla salute, agli ecosistemi)
Riduzione emissioni CO2 e relazione con il Covid
Dott.ssa. Pinuccia Montanari
Coordinatrice Comitato scientifico
Ecoistituto ReGe
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Artisti al Festival di Bioetica: talenti e originalità. Intervista a Ivano Malcotti
Dalla musica alla danza alla poesia, al Festival di Bioetica (Santa Margherita Ligure, 27 e 28 agosto) la copiosa ricetta del direttore artistico. Intervista a Ivano Malcotti
A Ivano Malcotti, regista e autore teatrale, da 4 anni è affidato l'incarico di organizzare il programma artistico del Festival di Bioetica (Santa Margherita Ligure, 27 e 28 agosto 2022). Anche questa volta gli artisti e le performances sono particolari e di grande interesse.
Si tratta di un compito sempre particolarmente impegnativo per varie ragioni. Ivano, vuoi spiegarcele?
La scelta artistica è sempre difficilissima soprattutto perché deve rientrare in una tematica precisa. Teniamo presente che le nostre serate sono da considerarsi un abbraccio ed una integrazione al Festival. Fortunatamente ho la possibilità avvalermi della preziosissima consulenza e dell'opinione di diversi addetti ai lavori che mi aiutano nelle scelte artistiche.
Quest'anno hai dovuto cercare proposte artistiche che si inseriscono nella cornice tematica del Festival: la Responsabilità...
Si dice, e aggiungo, con un pizzico di verità, che viviamo in un’epoca in cui la deresponsabilizzazione la vera padrona del gioco. Ci accorgiamo quotidianamente, e lo dico con amarezza, che è sempre più raro avere a che fare con persone che ammettono i propri errori, la colpa di solito è sempre degli altri. Per questo motivo penso che la tematica di quest’anno sia uno stimolo eccezionale che ci impone una seria riflessione sulle responsabilità delle nostre azioni e delle nostre scelte abituali. Le proposte artistiche del Festival 2022, daranno spunti interessanti e nel contempo saranno urticanti per gli abilissimi “scaricatori di responsabilità”.
Per quali ragioni hai scelto gli artisti e le artiste che saranno a Santa Margherita Ligure il 27 e 28 agosto?
Sono tutte proposte che affrontano a viso aperto la responsabilità individuale come principio fondamentale della crescita personale. Sono letture di vita che sanno affrontare con coraggio un percorso spirituale ed emotivo talvolta difficile e contro corrente. In poche parole, sanno stare dalla parte del torto ma come disse Jung, “Chi evita l’errore elude la vita”.
Ti faccio alcuni esempi per non rimanere nel vago: quest’anno faremo conoscere al pubblico un progetto chiamato “Talenti al quadrato”, con due ragazzi (con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico) eccellenti musicisti (entrambi diplomati al Conservatorio, uno di Genova e l’altro di Torino) e che vantano concerti ed esibizioni come quella del 2016 a Roma presso il palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella) che si alterneranno come speaker e come musicisti uno per e con l’altro con uno scambio artistico ed umano formidabile. Avremo un reading di poesie davvero toccante di Mirco Bonomi dedicato ad un paziente manicomiale e il monologo di Deborah Riccelli sulla violenza assistita. La canzone-sigla di quest’anno è stata affidata ai bravissimi “I Soin de Zena” e parlerà di adozione. A questo punto mi fermo altrimenti svelo troppo…
Dopo tanti anni di collaborazioni con il Festival di Bioetica, quali riflessioni ti senti di fare rispetto alle aspettative tue e del pubblico?
Il pubblico che ci segue da diversi anni è multiforme ma devo dire che ha un comune denominatore: ricerca l’originalità e gradisce le scelte “meno facili”, insomma sa applaudire chi osa. Musicalmente è forse più vicino al linguaggio della musica classica, ma non ha pregiudizi per sonorità più moderne. Per quanto riguarda la danza, in questi anni abbiamo proposto diversi stili: classica, moderna, jazz, danze urbane. Anche per quanto concerne il teatro abbiamo cercato di approfondire diversi approcci, dal teatro civile a quello brillante, reading poetici o monologhi tematici.
Le mie aspettative a pensarci bene, sono semplicissime: tenermi ben saldo sul crinale tra abitudine e novità.
Intervista di Tiziana Bartolini
Anziani e giovani: gruppi marginali nelle società occidentali. Intervista a Carla Costanzi
Se conta solo il lavoro produttivo, i gruppi sociali esclusi non hanno voce in capitolo nella società. È sbagliato e ingiusto. Queste due generazioni possono allearsi per modificare la situazione
L’intervento della professoressa Carla Costanzi al Festival di Bioetica 2022 (Santa Margherita Ligure 27 e 28 agosto) si concentra sul doppio binario della giovinezza e della vecchiaia, a partire dalle comuni accezioni, passando per le circostanze che accomunano queste due grandi fette della popolazione e arrivando alle prospettive future. Abbiamo raccolto alcune riflessioni, contenute nell’intervento che la prof.ssa Costanzi farà al Festival.
Per quali ragioni lei definisce giovani e anziani “gruppi marginali” della società?
Le società occidentali da tempo sono focalizzate sul lavoro, in particolare nella sua accezione di l. produttivo, e di conseguenza sui gruppi sociali che sono attori in questo ambito; chi ha grosse difficoltà ad entrare in questa dimensione o ne è uscito è pertanto percepito come marginale (a riprova si veda il mancato riconoscimento del lavoro domestico e di cura delle donne considerato appunto come non produttivo). La marginalità di questi due gruppi si manifesta anche nella scarsa conoscenza, e quindi interesse a conoscere, delle loro reali condizioni. Così a proposito di anziani quando se ne parla si citano solo “bisogni”, riferendosi cioè prevalentemente alla quota, per fortuna esigua, più problematica di questo gruppo, mentre la maggioranza gode di condizioni buone o discrete. Ma gli anziani non hanno solo bisogni, soprattutto le generazioni dei baby boomers hanno aspirazioni, aspettative, progetti che desiderano realizzare, non vogliono cioè semplicemente sopravvivere, bensì vivere appieno, realizzare se stessi e i propri sogni. Tutto ciò è assolutamente ignorato da chi siede nella stanza dei bottoni.
A suo parere queste circostanze potranno cambiare o dovranno cambiare?
Questo dipende dalla capacità di diventare protagonisti che questi due gruppi demografici saranno in grado di esprimere, di elaborare cioè prospettive diverse e impegnarsi a renderle concrete, superando cioè la logica della delega ad altri, superando la pura e semplice protesta per indicare alternative concrete. Per quanto riguarda i giovani ci sono, seppur circoscritti, segnali postivi in questo senso: abbiamo visto negli ultimissimi anni alcuni gruppi di giovani impegnarsi in politica, molti mobilitarsi per grandi cause come l’ambiente… In altre parole nei giovani ci sono grandi potenzialità che, se non ostacolate, potranno produrre risultati positivi. Per gli anziani la mia speranza è riposta nei baby boomers: tra costoro molti nella loro giovinezza sono stati attori di grandi cambiamenti, sia a livello collettivo sia nel privato e hanno sperimentato e verificato che condividere gli obiettivi e agire in gruppo porta a risultati. Oggi quelle generazioni devono ritrovare uno spirito analogo, la voglia di collaborare per cambiare a partire proprio dall’adozione - da parte loro in primis - di una nuova e più adeguata idea di vecchiaia. È un cambiamento radicale anche nelle modalità di azione, perché mai nei secoli passati gli anziani si sono organizzati e comportati come categoria sociale, ma proprio la maturazione di una consistente consapevolezza del loro essere ben diversi da come stereotipi e pregiudizi infondati li descrivono, potrà produrre cambiamenti sostanziali non solo nell’immagine prevalente, ma anche nel concreto modo di vivere questa tappa dell’esistenza. Qualche segnale innovativo si può cogliere in alcuni settori del mercato, che da qualche anno testimoniano nuove modalità di rappresentare la vecchiaia nelle varie manifestazioni della pubblicità, dai cosmetici alla moda; altri settori, a mio avviso, nel tentativo di innovare falliscono invece clamorosamente finendo col ridicolizzare gli anziani rappresentati. Tuttavia anche questi approcci, seppur non riusciti, possono essere letti come testimonianza di una nuova esigenza di adeguare il linguaggio alla realtà.
Nell’opinione comune è diffusa la convinzione che un tempo, a differenza di quanto vediamo oggi, gli anziani godessero di rispetto condiviso e si riconoscesse loro saggezza ed autorità. È sempre stato così?
Ripercorrendo la storia delle culture sviluppatesi nel continente europeo ho trovato clamorose smentite a questo assunto. Solo quando la scrittura non era patrimonio condiviso, o comunque risorsa di pochi, gli anziani rappresentavano la memoria e il sapere del loro popolo. A loro ci si rivolgeva per dirimere le controversie, per avere consigli sulle decisioni da prendere e spesso erano considerati i capi naturali delle comunità di appartenenza. Ma già alcuni secoli prima di Cristo la situazione è radicalmente cambiata: sia la Grecia antica che Roma offrono testimonianze nette del discredito con cui venivano percepiti i vecchi (e le donne in particolar modo). Le fasi storiche ispirate al mondo classico (si veda soprattutto il Rinascimento) furono i periodi più negativi per gli atteggiamenti e i comportamenti verso gli anziani. Nell’insieme la storia della vecchiaia nel mondo occidentale traccia un percorso che alterna progressiva degradazione e fasi di indifferenza. Il perdurare per secoli di rappresentazioni negative della vecchiaia rende oggi particolarmente arduo modificare queste idee; anche il loro carattere prevalentemente irrazionale ne rende difficile il contrasto. Ma proprio la consapevolezza dell’assurdità di questo assunto può essere il punto di partenza per procedere nel percorso di decostruzione di queste negatività.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
Animali, etica e responsabilità. Intervista ad Annalisa di Mauro
Tutti noi (professionisti, imprenditori, amministratori pubblici o semplici cittadini) siamo coinvolti nel rapporto con gli animali. E abbiamo il dovere di rispettarli durante l'arco di tutta la loro vita
Annalisa Di Mauro, vicepresidente della sezione ligure dell’Istituto Italiano di Bioetica, già assegnista di ricerca presso l’Università di Genova e membro del laboratorio EtApp, è cofondatrice di Animal Law Italia. Ha una specifica expertise in Animal Welfare Ethics e bioetica veterinaria. Al Festival di Bioetica 2022 (Santa Margherita Ligure, 27 e 28 agosto) parlerà del tema della Responsabilità in un’ottica di rispetto per gli animali.
Le abbiamo chiesto di condividere alcune riflessioni, anticipando i contenuti del suo intervento.
“La Responsabilità dell’essere umano nei confronti degli animali rimanda a numerose riflessioni che coinvolgono settori, professionalità, esperienze, culture in maniera del tutto trasversale. Se da un lato l’essere umano si è reso responsabile della riduzione o del danneggiamento, quando non della distruzione, degli habitat in cui, oramai, diverse specie selvatiche trovano sempre minore spazio; dall’altro lo stesso fatto che esistano altri animali che nascono, vivono e muoiono esclusivamente per essere mezzi e non fini, ci costringe ad una improcrastinabile valutazione della crescente responsabilità nei loro confronti, responsabilità che si estrinseca, in primo luogo, nel garantire loro una qualità della vita che la renda degna di essere vissuta, dal momento della nascita fino all’ultimo istante di vita, che si tratti di morte naturale o procurata, ad esempio, con la macellazione.
La responsabilità riguarda le professioni (si pensi a quella del medico veterinario, garante del benessere animale), l’impresa, gli amministratori pubblici, ma anche i singoli cittadini, quando accolgono un animale nella propria abitazione, decidono come orientare i propri acquisti, oppure scelgono mete e modalità di vacanza sostenibili non solo dal punto di vista ambientale, ma anche eticamente accettabili sul piano della relazione con l’animale (si pensi ai safari, ai santuari, all’addestramento e alla sedazione di animali selvatici per fini di intrattenimento)”.