Intervista a Lucia Schiatti, ingegnera dell'Istituto Italiano di Tecnologia
A cura di Tiziana Bartolini
La dr.ssa Lucia Schiatti, dell'Istituto Italiano di Tecnologia, opera nel team di Monica Gori ed è impegnata nelle ricerche sulle tecnologie riabilitative per persone con disabilità visive, tema su cui porterà il suo contributo alla quarta edizione del Festival di Bioetica (Santa Margherita Ligure, 27 e 28 agosto 2020). Le chiediamo di sintetizzare gli elementi essenziali del suo intervento.
Dr.ssa Schiatti può spiegare, semplificando per i non addetti ai lavori, con quali tecniche e modalità opera la ricerca per ideare, progettare e mettere a punto tecnologie riabilitative per persone con disabilità visive ?
La ricerca portata avanti dal nostro gruppo (Unit for Visually Impaired People, U-VIP, presso l’Istituto Italiano di Tecnologia, IIT) si basa su un approccio multidisciplinare al problema di sviluppare tecnologie riabilitative efficaci per persone con problemi visivi. La maggior parte delle tecnologie esistenti si basa sul concetto di sostituzione sensoriale: l’informazione visiva viene tradotta in suono (sonificazione) o in una stimolazione tattile (ad esempio una vibrazione) trasmessa su una parte del corpo ricca di recettori tattili. I dispositivi che ne derivano sono spesso complessi da utilizzare, tanto che il loro utilizzo viene alla fine spesso abbandonato dagli utenti. Per fare un esempio, la soluzione attualmente più utilizzata da persone non vedenti come ausilio alla navigazione è ancora il semplice bastone. Inoltre, il lungo allenamento e l’alto livello di attenzione richiesti per interpretare lo stimolo rendono i dispositivi esistenti impossibili da utilizzare per i bambini. Al contrario, affinché la tecnologia abbia un impatto significativo sullo sviluppo delle capacità spaziali e motorie nonostante la disabilità visiva, e dunque una funzione riabilitativa, è importante intervenire fin dalle prime fasi di vita.
L’approccio adottato dal nostro gruppo nasce pertanto dal porre la comprensione scientifica dei meccanismi percettivi e del loro sviluppo, con o senza deficit sensoriali, alla base del processo di sviluppo tecnologico. Il fine ultimo è quello di incidere in modo utile alla società sulla qualità della vita di persone con disabilità visive, ponendo gli utenti della tecnologia stessa (in questo caso bambini con disabilità visive, genitori, e riabilitatori) al centro del processo di sviluppo, in modo da realizzare prodotti che possano uscire dai laboratori ed essere utilizzati concretamente nella vita di tutti i giorni.
Sono attualmente in uso strumenti realizzati sulla base dei vostri progetti?
Il nostro gruppo ha sviluppato il braccialetto sonoro ABBI, grazie a un progetto finanziato dall’Unione Europea, coordinato da Monica Gori, leader del gruppo U-VIP, e con la collaborazione del Prof. Gabriel Baud-Bovy (RBCS, Istituto Italiano di Tecnologia), e dell’Istituto David Chiossone per Ciechi e Ipovedenti, a Genova (referente Dott.ssa Elena Cocchi). Si tratta di un semplice braccialetto in grado di emettere diversi suoni, che il bambino può associare ai movimenti del proprio corpo o a quelli di altre persone. Abbiamo dimostrato che l’utilizzo del dispositivo può migliorare significativamente le capacità di localizzazione spaziale e quelle motorie, oltre a facilitare l’interazione in contesti sociali, per esempio adattando giochi di gruppo e attività sportive al fine di garantire l’inclusione di bambini con problemi visivi. È attualmente in corso il processo di industrializzazione del dispositivo, che ha ottenuto il marchio CE e che diventerà presto parte di un kit utilizzabile negli ospedali e nei centri riabilitativi che trattano disabilità visive. Inoltre, stiamo sviluppando altre tecnologie basate sul concetto di integrazione multisensoriale (e dunque in grado di emettere stimoli visivi, sonori e/o tattili in risposta ad azioni compiute dall’utente) che permetteranno di mettere a punto una “palestra multisensoriale” al servizio di riabilitatori e bambini ipovedenti, in collaborazione con l’Istituto Mondino, a Pavia (referente Dott.ssa Sabrina Signorini).
La tecnologia interviene assai concretamente nella dimensione della salute, con indubbi vantaggi per le persone malate e per i loro caregiver. Le chiediamo, come sua considerazione generale, se ritiene che per la stessa qualità della vita possano essere posti dei limiti a queste 'intrusioni' tecnologiche?
Penso che il limite di accettabilità debba essere tracciato dall’esperienza dell’utilizzatore finale della tecnologia. In questo caso, è importante che le persone che usufruiranno delle soluzioni tecnologiche (persone con disabilità, caregivers, riabilitatori) siano coinvolte fin dalle prime fasi del processo di sviluppo, e non soltanto a posteriori. In tal modo possiamo al tempo stesso identificare i reali bisogni delle persone, e sviluppare tecnologie che abbiano caratteristiche di efficacia e semplicità di utilizzo tali da renderle concretamente gestibili e utili per le persone a cui sono destinate.