A cura di Tiziana Bartolini
È il tempo delle scelte: se essere predatori o custodi del nostro pianeta. Intervista alla co-curatrice del libro "Il corpo della Terra. La relazione negata" (Castelvecchi)
La dr.ssa Eugenia Romanelli ha scritto insieme a Giusy Mantione, il libro "Il corpo della Terra. La relazione negata" (Castelvecchi) il cui obiettivo è riportare le riflessioni di esperti in varie discipline sulle responsabilità che abbiamo come umani in quanto "custodi della terra". Il libro è definito "punto di partenza" di un movimento trasversale di intellettuali, scienziati, giornalisti e opinion leader che intendono "sensibilizzare la collettività italiana sul rischio di un cambiamento irreversibile dell'ecosistema globale". Intorno a questi temi verte il suo contributo alla quarta edizione del Festival di Bioetica (Santa Margherita Ligure, 27 e 28 agosto 2020).
Dr.ssa Romanelli il libro ha un sottotitolo assai eloquente: 'Da una visione egologica a una visione ecologica'. Quali sono i contenuti, le osservazioni che hanno portato a questa sintesi?
Niente esiste indipendentemente da tutto il resto, ognuno di noi è in relazione con gli altri e con i contesti che ci ospitano. Questa visione, condivisa con la mia co-curatrice e con gli scienziati, accademici, studiosi di questo libro, affida grande responsabilità agli esseri viventi, a partire appunto dall'ipotesi che l’ambiente non può essere percepito come altro da sé. Questa consapevolezza, abbastanza facile da sperimentale, ci permette di scegliere se essere predatori o custodi del nostro pianeta e così decidere sul nostro futuro: morire o vivere?
Di ecologia e delle problematiche connesse all'inquinamento si parla da tempo e la consapevolezza sembra essere largamente condivisa. Eppure non riusciamo ad intervenire efficacemente per modificare comportamenti e stili di vita. Come se lo spiega?
È difficile tenere a bada l’angoscia travolgente in relazione al disastro ecologico. Mettiamo in atto meccanismi di difesa come la scissione, l’intellettualizzazione, la rimozione, il dislocamento, la repressione, il diniego: questo non ci aiuta nel processo di consapevolezza e responsabilità, ossia nello sviluppare azioni e comportamenti virtuosi; è questo uno dei principali impedimenti alla costituzione di risposte costruttive e alla mobilizzazione di energie riparative.
Secondo lei le donne hanno - o dovrebbero sentire - particolari responsabilità nella 'cura della Terra'?
Noi donne, avendo biologicamente più sviluppato il pensiero laterale e divergente, da sempre intendiamo la relazione - anche con l’ambiente - come cura e creatività e non come dominio. Per questo l’ecofemminismo - e più in generale la visione femminile - può rappresentare una opportunità per risignificare il nostro modo di stare al Mondo.
La pandemia ci sta impartendo una lezione che potrebbe essere utile ma che invece sembra non essere realmente compresa. Quale è la sua opinione?
Abbiamo la possibilità storica di fare un salto evolutivo importante a partire da una nuova “coscienza del limite” da contrapporre all’impulso prometeico. Potremmo sviluppare quella “saggezza della paura” da opporre alla filosofia del rischio, così come un principio di precauzione che ci emancipi dal puro "scientismo". E così dare vita con pienezza a un’etica della responsabilità.