Teresa Tacchella, giornalista - Ecoistituto Re-Ge
Cibo, salute e informazione                                                                                                    

Prendersi cura delle persone e del pianeta attraverso il cibo sano, tra disinformazione e luoghi comuni. Intervento al Festival di Bioetica (27 e 28 agosto 2020)

Teresa Tacchella, giornalista - Ecoistituto Re-Ge
Cibo, salute e informazione

FESTIVAL  BIOETICA 27 e 28 agosto 2020 

Se c’è una considerazione che può trovare tutti d’accordo in questo tempo di emergenza Covid all’insegna della confusione, principalmente sanitaria, è quella che le persone con un sistema immunitario attrezzato riescono a contrastare meglio il coronavirus (ma anche altri virus, va sottolineato, così come altre infezioni del nostro tempo).
E in molti hanno sottolineato come sia importante, accanto ad uno stile di vita maggiormente in armonia con la natura magari in una zona dove l’aria è più pulita, una sana alimentazione per rafforzare il nostro sistema immunitario. Cibo che fa bene a noi e al pianeta (se si produce senza veleni e dunque senza inquinare, senza inaridire il terreno ecc, si fa bene a tutta la comunità). Ecco, allora, che se ci si prende cura delle persone, se ci prendiamo cura di noi stessi, con il cibo quotidiano che nutre e non avvelena, ci si prende cura anche degli altri esseri viventi e del pianeta. Parliamo dunque di prodotti sani, molto diversi da quelli cosiddetti “tradizionali” o “normali”, io preferisco dire convenzionali. Prodotti, questi ultimi, inventati, coltivati, preparati e confezionati per noi dalla grande industria, con tanti veleni. Ma quanto e come i media informano su questo aspetto, quello cioè del cibo sano, dunque non solo delle diete (certo, la dieta mediterranea meglio di tante altre), non solo dell’apporto calorico o della piramide alimentare ecc, ma degli ingredienti di cui sono composte le varie diete, anche quelli “fantasma”, che non compaiono in nessuna etichetta,  della sostanza di ciascun cibo, sia esso derivante direttamente dalla terra o trasformato. Cibo sano. Quello di Ippocrate, “cibo come migliore medicina”. Non sono medico, non entro nel merito delle ricerche che dimostrano queste cose di cui non si parla o si parla troppo poco, ma come giornalista mi piace indagare proprio sull’informazione che viene data in merito o meglio sulla disinformazione o ancora sul silenzio. 
Assistiamo ad un silenzio assordante sul cibo sano, sulle pratiche e i comportamenti dell’agroecologia e sui benefici per la salute delle persone, degli animali e dell’intero pianeta, sui veleni che ogni giorno invece ci vengono propinati dalle confezioni allettanti sugli scaffali, (soprattutto destinate ai più piccoli dove si parla di giochini e non della sostanza del cibo, per esempio), dalla pubblicità, dai media attraverso spot, rubriche, film e fiction e informazione. Insomma, tanti luoghi comuni, a parte qualche eccezione (le etichette dei prodotti bio o quelle “trasparenti” dei prodotti naturali, qualche giornale o rubriche radiotelevisive di nicchia).
C’è un silenzio assordante anche sui reati commessi nel settore agroalimentare, sul perverso intreccio fra affari, politica e criminalità. Il male che in ogni istante si fa alla salute e all’ambiente attraverso il cibo avvelenato è costante e insidioso.
C’è un silenzio assordante sul dibattito politico che decide il nostro destino e quello del pianeta (come recentemente sul voto riguardante il glifosato che vedremo più avanti).
Ma c’è un silenzio assordante anche su chi dice no ai veleni, su iniziative, ricerche, progetti e buone pratiche (anche qui, a parte qualche rara eccezione). Un esempio fra i tanti: è passata sotto silenzio l’alleanza europea di ricerca senza pesticidi, siglata il 23 febbraio a Parigi tra 24 istituti di 16 Paesi. 
Diciamo pure che i grandi media non ci informano a sufficienza, non entrano nel profondo del problema, se escludiamo qualche speciale o qualche articolo/servizio generalmente non in primo piano. Mentre si sprecano disinformazione e interventi di “esperti” a favore di quanto praticato, sostenuto e progettato dall’agroindustria. Addirittura, c’è stato persino un quotidiano, un foglio poco letto per fortuna, che in piena emergenza Covid ha dedicato l’intera prima pagina e altre all’interno, agli “ogm che fanno bene!
E poi gli spot televisivi, che stravolgono il significato delle parole (pensiamo a quanto si abusi di termini come naturale, sano, gustoso e genuino, tradizionale, percorsi salute, prodotti italiani garantiti da questo o quel consorzio…). Diciamo che gli spot rappresentano una comunicazione importante perché ci accompagnano e ci martellano per tutto il tempo in cui si sta davanti alla tv. Spot fatti di luoghi comuni, mistificazioni e parole vuote e ingannevoli, che ci plasmano anche nelle scelte alimentari. Se non ci attrezziamo culturalmente.
Ma, io credo che siamo davvero informati troppo poco su come prendendoci cura delle persone e della salute umana partendo dal cibo, ci si prenda cura anche di tutti gli altri esseri viventi e del pianeta. Si parla troppo poco della relazione stretta tra questi due aspetti, il cibo e la salute. Si parla troppo poco di cibo sano, cibo che non avvelena, ma anzi, fa bene alla salute. Forse dovremmo imparare a volerci più bene e a fare di più.
Invece, si dedica troppo poco tempo al cibo che si consuma, si dà poca importanza al cibo rispetto agli infiniti beni voluttuari. Intanto, i supermercati convenzionali sono stracolmi di gente che compra cibo e bevande a prezzi sempre più bassi, spesso cibo spazzatura oltre che destinato allo spreco, incurante del fatto che questo significa anche non rispettare i diritti di chi produce il cibo, aumentare il divario fra ricchi e poveri, impoverire il terreno minando la fertilità dei suoli e accelerare i cambiamenti climatici, insomma, avvelenare noi stessi e il pianeta. 
L’Istituto Superiore di Sanità, attraverso il suo portale di epidemiologia EpiCentro, mi pare si occupi solo di sicurezza alimentare e non di salubrità del cibo, di alimentazione sana.    Si parla ad esempio di: 
-un protocollo HACCP (metodo di autocontrollo per tutti i soggetti operanti a vari livelli della catena alimentare), che analizza tutta la catena individuando i rischi associati ad ogni passaggio del cibo, come temperature dei frigoriferi e prodotti conservati, e identificando le possibili soluzioni… 
E, ancora, si parla di:
-LISA, libretto di idoneità sanitaria per alimentaristi, dove “si stanno mettendo a punto strumenti che aiutino a capire in che modo scegliere le priorità in materia di prevenzione, giudicando con competenza i costi rispetto alla efficacia delle diverse azioni. Una delle attività regolate per legge e finora prive di studi che la supportino è quella della idoneità sanitaria per gli alimentaristi, introdotta con la legge 283/62 del 1962, prima della Riforma Sanitaria 833/78… “ e poi si parla di “libretto di idoneità per alimentaristi nell’ambito di un pacchetto di misure, definibile come Programma di Sanità Pubblica (PSP)”, libretto che poche righe dopo si dice di abolire, in seguito ad un “lavoro svolto su basi scientifiche della Asl di Firenze e di successive norme della Regione Toscana del 2003”… Ecco, credo proprio che a questo punto sia meglio lasciar perdere: non si parla di cibo sano, degli ingredienti che fanno bene alla salute.
Allora, proviamo a vedere cosa si è fatto in questo periodo come Ministero dell’Agricoltura. Anche in questo caso, le informazioni sono ambigue.
Si sostengono, oltre all’agroindustria e ai prodotti delle grandi aziende, per lo più i prodotti tipici e a km zero, ma attenzione: il chilometro zero e la tipicità non significano assolutamente prodotto sano, coltivato, o derivato da allevamenti, senza veleni. Anzi, spesso, ci troviamo davanti a prodotti coltivati con i metodi dell’agroindustria anche su appezzamenti piccoli attorno a casa.
Un esempio: un manifesto pubblicitario del GAL Sila, gruppo di azione locale della Sila (i Gal sono una sorta di agenzie che dirottano fondi pubblici ad aziende e a progetti, come appunto questo della Calabria) si scrive “cibo sano e fresco con consegna a domicilio”. Sul fresco nulla da eccepire, ma quanto al sano… Insomma, ci troviamo di fronte ad una informazione falsa nel caso in cui manchi la certificazione biologica, oppure una etichetta trasparente che ci descrive la ‘carta d’identità’ del prodotto. Quest’ultima sarebbe la cosa più auspicabile per conoscere con chiarezza tutta la filiera: dalla semina al raccolto, al metodo di allevamento nel caso di prodotti di origine animale, alla conservazione del prodotto, all’eventuale trasformazione. L’informazione chiara e trasparente sul cibo è fondamentale, anche quando conosciamo bene chi produce e trasforma, tanto da poterci fidare. Per esempio nei vari mercatini agricoli o contadini del territorio, vale la pena chiedere comunque alcune informazioni semplici e dirette sui vari passaggi della filiera e magari fare visita in azienda, anche casualmente, a sorpresa. A volte si potrebbero scoprire nei magazzini, sacchi di concimi chimici e antiparassitari, o mangimi convenzionali con ogm e residui di pesticidi. Sui prodotti animali o derivati, c’è da aggiungere che nel cibo convenzionale ci potrebbero essere residui di ormoni e antibiotici, oltre che di pesticidi e ogm a causa dei mangimi a basso costo, con soia e mais modificati geneticamente e bisognosi di sempre maggiori quantità di diserbanti e altri veleni. 
E tutto questo non viene scritto in etichetta: si tratta di veri e propri ingredienti fantasma! Come non è indicato, nei prodotti animali, il metodo di allevamento, parliamo sempre del mercato convenzionale non bio, anche se si prevede una certificazione sul benessere animale che superi certe pratiche crudeli tuttora molto presenti nella filiera della carne. Proprio in questi giorni, abbiamo visto nei tg quei poveri polli nelle gabbie di un noto produttore di carni bianche, solo perché si parlava dei dipendenti che avevano contratto il Covid! (Nessun cenno allo scandalo del sistema industriale di allevamento e alla crudeltà di quel sistema).
Insomma, spesso si usano parole che non corrispondono al vero, ambigue e ingannevoli, parole vuote. 
I sostegni al settore agroalimentare nella crisi Covid 19 traggono linfa dalle iniziative europee. E allora in questi progetti straordinari destinati alle comunità locali del cibo si scrive ad esempio che “oltre a minacciare la nostra salute, la pandemia pone anche serie sfide ai nostri sistemi socio-economici”, ossia la salute è un’altra cosa rispetto ai sistemi socio-economici delle comunità rurali e dunque non ci si occupa di produrre in modo sano, per la salute di produttori e consumatori. Insomma, anche qui, si generalizza con affermazioni superficiali e alla moda sul sostegno al locale e alla tipicità con tanto di marchio di origine, senza alcuna distinzione tra chi non usa i veleni dell’agroindustria e chi invece replica in piccolo un’agricoltura industriale che fa male alla salute. Inoltre, in questi progetti finanziati con fondi pubblici si parla anche di promuovere “la solidarietà con le persone più vulnerabili in questa situazione eccezionale”. Proprio le persone più vulnerabili, è la riflessione che sottopongo, sono quelle che più di altre hanno bisogno di quel cibo sano che può aiutarle a stare meglio. Prendersi cura, per esempio, di bambini e malati, significa scegliere finalmente cibo sano in asili e scuole e negli ospedali! Senza dimenticare quanto sia importante una sana alimentazione per le donne in gravidanza e nello svezzamento. Inoltre, proprio le persone più vulnerabili, pensiamo a chi lavora nei campi in tutto il mondo e anche da noi, sono quelle che subiscono doppiamente perché, oltre a soffrire gli effetti negativi sulla salute, sono anche sfruttate per far sì che i prodotti alimentari sugli scaffali o nei mercati costino sempre meno. E gli spot rincorrono la convenienza, con prezzi bassi e fissi, i sottocosto, buoni spesa, omaggi ecc.
Ma, nel nostro parlamento, cosa si sta facendo per promuovere il cibo sano e tutelare la salute delle persone e del pianeta e quanto siamo informati su questo?
Lo scorso 21 luglio, in Senato, come si legge nel resoconto di quella seduta, sono state approvate 4 mozioni sul glifosato, il pericoloso erbicida ritenuto da molte ricerche indipendenti dannoso per la salute umana, tra l’altro a livello ormonale e renale, e per gli organismi acquatici e giudicato “probabilmente cancerogeno” dall’Istituto internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms che in un primo tempo lo aveva considerato “cancerogeno”. Ma poi, certe pressioni anche di voci istituzionali autorevoli, condizionate da certe lobby hanno portato ad un giudizio più mite… Il glifosato è il diserbante più venduto al mondo e l’Italia detiene con la Francia il triste primato europeo. Prodotto dalla Monsanto, recentemente acquistato dalla Bayer, e commercializzato dal 1974 con il nome Roundup, ora è venduto anche da altre aziende. “Ufficialmente pericoloso ma lecito”, scrive un sito di informazione alimentare riportando una ricerca dello scorso autunno della rivista leader nei test di laboratorio a difesa dei consumatori. Dallo studio emerge che si trovano abbondanti quantità di glifosato in frutta e verdura, in carne, latte e latticini e nei derivati animali per via dei mangimi fatti essenzialmente di mais e soia ogm che richiedono un sempre maggiore impiego di pesticidi. E poi, per molti a sorpresa, abbondanti quantità di glifosato sono stati trovati in ben 27 marchi di pasta italiana!!! Eppure, ci sono addirittura spot pubblicitari di marchi famosi che garantiscono pasta IGP, fatta con grano italiano, di qualità ecc. Ma per la pasta, come per tutti i derivati dai cereali come pane, grissini, biscotti (anche quelli dei con “farine non raffinate” e ai cereali integrali), le informazioni nascondono la sostanza del problema e sono all’insegna dell’ambiguità. Infatti, gli spot e le etichette non ci dicono da dove arrivano, a parte quelli che parlano di filiera tutta italiana, e come sono stati coltivati i cereali o i legumi. Se le farine provengono dall’estero (e nei porti italiani ne arrivano molte) potrebbero contenere ancora più pesticidi da noi nel frattempo vietati. Queste considerazioni valgono anche per i prodotti senza glutine che spesso si confondono con prodotti più sani. Ma prodotti con “farine non raffinate”, integrali o semi-integrali, con crusca e tante fibre, magari più costosi come nel caso di marche famose, nascondono una doppia insidia: il rischio di seguire una moda e il fatto che se sono stati usati pesticidi, i loro residui si concentrano maggiormente nella parte esterna del chicco. Questo dovremmo sapere, ma non ci viene detto. Ed è un paradosso: ciò che ci viene proposto come un cibo buono per la salute è ancora più dannoso!  Per non parlare del “nostro pane quotidiano”, uno degli alimenti più additivati, manipolati e adulterati.
Torniamo al Senato, al voto sul glifosato. Votate due mozioni a favore e due contrarie all’uso di questo pericoloso erbicida, molto usato in agricoltura, sul terreno e nella conservazione, ma anche per il diserbo lungo strade e autostrade e nei giardini privati. Fino a poco tempo fa si poteva spargere anche nei parchi e giardini pubblici e in quelli di scuole e ospedali! Quando si vedono strisce o chiazze di vegetazione di colore giallo rosso, è il segno del glifosato. Tralascio il merito delle mozioni, anche se mi sembra incredibile che rappresentanti dei cittadini (a partire da certi senatori a vita che dovrebbero avere più di altri saggezza, senso della misura, delle responsabilità) possano aver sostenuto le lobby dell’agroindustria e di un diserbante così pericoloso. 
E la “grande stampa” ha praticamente ignorato il voto. C’è da dire che, in generale, sul glifosato, qualche eccezione c’è stata, ma purtroppo per disinformare, addirittura scrivendo in modo ambiguo che il glifosato è “finito nel mirino degli ambientalisti per le accuse di potenziale cancerogenicità” senza spiegare che questo giudizio, non di poco conto, è stato frutto, come detto, di una ricerca dell’Oms, nel giornale citata di sfuggita solo per definirla “contestata”. E poi, si racconta nei dettagli di una contro-ricerca dell’Epa, l’Agenzia per l’ambiente degli Stati Uniti, che “assolve il glifosato”, di una “bassissima tossicità per l’uomo e gli animali”, di “impatto ambientale modesto” e così via. Quanto alle api e agli insetti impollinatori, un dramma sotto gli occhi di tutti, secondo questa “ricerca” riportata con evidenza da uno dei più autorevoli quotidiani italiani, “è stata individuata una tossicità modesta su animaletti singoli e nessun effetto rilevabile a livello di famiglia d’alveare”. 
Insomma, nonostante la mobilitazione e l’impegno di tante associazioni e istituti di ricerca indipendenti, spesso le informazioni che riguardano il cibo sano e la salute umana e del pianeta subiscono più di altri i condizionamenti dell’industria chimica e agroalimentare, di un modello economico e produttivo distorto, di una “economia malata”, come sottolineato anche da Papa Francesco. E sembrano non avere l’onore di una diffusione seria e continuativa, ad eccezione di alcune testate “minoritarie”. (Per fortuna esistono ricercatori, scienziati e stampa non asserviti al mercato). Proprio una di queste testate ha dedicato una sua recente copertina al “grande affare del traffico illegale di pesticidi”, veleni vietati in Europa che continuano ad essere usati sui nostri campi mentre i trafficanti restano praticamente impuniti, rischiando piccole multe a fronte di guadagni enormi. Notizia che non fa notizia! I crimini ambientali non fanno notizia. Eppure, leggiamo sul sito del Ministero della Salute, i carabinieri del Nas quest’anno hanno sequestrato, con le altre forze dell’ordine europee, oltre 1.300 tonnellate di pesticidi illegali o contraffatti, il doppio rispetto all’anno precedente. Finiti nei nostri cibi. Questo non fa notizia. Fanno invece notizia le stragi quando sono improvvise, come purtroppo l’esplosione di Beirut, causata da quel nitrato di ammonio usato, guarda caso, nelle armi e nei fertilizzanti! Ma anche quella strage non è servita ad approfondire questa relazione pericolosa. 
Dunque, per concludere, è importante, andare oltre i luoghi comuni e l’informazione omologata, oltre le mode, le trappole pubblicitarie e le mistificazioni; occorre informarsi sul cibo che spesso affama e avvelena il mondo, soprattutto i Paesi più poveri, avvelena insomma chi lo produce e chi lo consuma. Su questo è necessario riflettere per superare i condizionamenti dell’agroindustria e dei suoi canali di comunicazione e per essere eticamente consapevoli nella produzione del cibo, nella sua trasformazione e commercializzazione e nelle scelte alimentari di chi consuma, per poterci prendere cura di noi stessi e del pianeta. Ogni giorno. 

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