Una bioetica planetaria per una nuova alleanza fra etica, politica, economia.

Franco Manti
Università di Genova
Istituto Italiano di Bioetica

Affrontare il tema del rapporto fra giustizia e cura come espressione della responsabilità sociale di imprese, aziende pubbliche, private, del terzo settore comporta, in via preliminare, una riflessione sulla natura dell’economia, in generale, e del mercato in particolare.

Ha, infatti, un senso porsi nell’ottica della responsabilità sociale se viene messa in discussione la visione standard dell’ economia come espressione di un mercato, determinato da una razionalità astratta e impersonale, i cui esiti sono misurati, in termini puramente quantitativi, dagli incrementi di efficienza, produzione, profitto. In realtà, l’economia è caratterizzata da processi relazionali e dall’assunzione di decisioni che rimandano a scelte che hanno una forte connotazione etica. Infatti, affermare che sono i mercati a decidere equivale a deresponsabilizzare i decisori reali che sono gli azionisti, i manager, gli amministratori di aziende pubbliche o del terzo settore, ma anche i cittadini che decidono di acquistare un certo prodotto o di esprimere il loro gradimento sui servizi di cui sono destinatari. Ne consegue che il PIL non è in grado di misurare il ben - essere reale, anzi, costituisce, come affermano Stiglitz, Sen, Fitoussi, la misura sbagliata delle nostre vite. Per tutti questi motivi, non appare plausibile delegare le questioni di giustizia unicamente alla politica. Le asimmetrie e le disuguaglianze crescenti generate dal processo di globalizzazione, con i costi economici e sociali che comportano, hanno evidenziato la difficoltà dei decisori politici nel “governare” il mercato. Le scelte di mercato sono , in gran parte, operate, anche per la velocità che richiedono, da decisori e agenzie che prescindono dalle politiche economiche degli Stati singoli e di entità sovrannazionali come l’U.E.

In questa situazione, caratterizzata da incertezze crescenti e dall’emergere di conflitti nelle relazioni fra gli Stati e all’interno degli Stati, appare necessario ritornare all’originaria natura etica dell’economia e del mercato fondata sulla reciprocità, il riconoscimento, la comunicazione, la fiducia, l’empatia, il prendersi cura delle persone e delle istituzioni. Questa consapevolezza richiede di riconsiderare, nella loro concretezza, le relazioni etica, politica, economia a partire, anche, dalle possibili pratiche reali.

Sotto questo profilo gioca un ruolo fondamentale l’esercizio della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) e la sua estensione, attraverso appositi “strumenti” attuativi, alle aziende pubbliche, alla pubblica amministrazione, al terzo settore. Le considerazioni di cui sopra, comportano, anche una nuova visione della RSI superando la tendenza a considerare affari e RSI come ambiti differenti che implicano diversi processi di pensiero e attività, mentre la sfida che abbiamo di fronte sta nel promuovere un modo diverso di fare impresa che integri le considerazioni relative agli affari, all’etica e alla società. È l’unico modo che consente di superare una visione puramente strumentale della RSI finalizzata a “migliorare” esclusivamente l’incremento del profitto per gli azionisti d’impresa. Il mutamento di prospettiva consiste nel considerare clienti, fornitori, dipendenti non solo stakeholder di una determinata impresa, ma prima di tutto, membri della società: se essi traggono benefici dalle loro relazioni con l’impresa, ne trarrà beneficio l’intera società. Più in generale, come sottolineano Freeman e Velamuri, comportamenti basati su decisioni che separano etica e affari, privilegiando il self-interest degli azionisti, conducono al «[…] danneggiamento di una istituzione - il business - che ancora deve giocare un ruolo centrale nel sollevare dalla povertà centinaia di milioni di persone in Asia, Africa e America Latina.». La nuova visione della responsabilità pone al centro le persone contribuendo a ridefinire il significato del termine stakeholder. Essi non vanno intesi come semplici portatori d’interessi, ma come soggetti per le cui vite è rilevante il comportamento dell’impresa (l’azienda pubblica o del Terzo Settore).

Pertanto, la nuova visione della responsabilità sociale comporta, pur nelle differenze che intercorrono fra imprese profit, aziende pubbliche, imprese del Terzo Settore, : 1. Il riferimento a tutti i tipi di impresa e azienda, a tutte le forme di creazione di valore; 2. L’individuazione dello scopo fondamentale nella creazione di valore per gli stakeholder (nell’ accezione di cui sopra) e nell’adempiere alle responsabilità nei loro confronti; 3. La non separazione dell’etica dagli affari in termini di assunzione di responsabilità, nella creazione di valore, verso tutti gli stakeholder; 4. La trasparenza nel processo decisionale e l’ accountability; 5. La generazione di una relazione, costante nel tempo, di fiducia e corresponsabilizzazione degli stakeholder basata su un percorso di conoscenza comune e sulla reciprocità del prendersi cura. In sintesi, le imprese profit devono generare profitti, oppure non saranno in grado di perseguire i loro scopi., ma non possono generare profitti o raggiungere i loro scopi senza un intenso coinvolgimento dei loro stakeholder. Tale coinvolgimento, che giunge fino alla corresponsabilizzazione, vale, mutatis mutandis, anche per il Terzo Settore e le aziende pubbliche. 

Oltre alla centralità del prendersi cura di quanti entrano, a vario titolo, in relazione con imprese, aziende, ecc., oggi emergono, con forza, almeno altri due domini in cui si esercita la responsabilità sociale come prendersi cura: la sostenibilità finanziaria e quella ambientale ( che include, anche, il nostro rapporto con gli animali non umani). In termini generali, si può affermare come la crescita economica, pur producendo un innalzamento del livello medio di vita e una riduzione, in termini assoluti della povertà, abbia indotto, anche, un aumento della disuguaglianza sia nei Paesi ad economia sviluppata che nelle economie emergenti, e fra i primi e quelli più poveri. Inoltre, è innegabile un impatto negativo sull’ ambiente che comporta la prospettiva di un deterioramento della qualità della vita per le generazioni future. La crisi che stiamo vivendo ha evidenziato come l’imperativo della crescita senza limiti e condizioni sia uno dei fattori più importanti di instabilità economica. L’idea di sviluppo sostenibile contiene l’esigenza dello sviluppo insieme a quella relativa alla qualità degli investimenti e alla valorizzazione del ben - essere qualitativo delle persone. Come è possibile, riguardo agli investimenti, fare fronte all’anomia dei mercati finanziari e sviluppare una finanza etica basata sul prendersi cura? Una risposta consiste nell’implementazione e sviluppo di investimenti ESG (Environmental, Social, Governance) ossia, su un metodo di selezione degli asset basato su criteri ambientali, sociali e di governance. Tali investimenti sono in linea con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’ ONU nel 2013 e, pertanto, tengono conto delle sfide globali legate alla povertà, alla disuguaglianza, al clima, al degrado ambientale, alla prosperità, alla pace e alla giustizia. Riguardo alle riserve sulla loro redditività, studi recenti mostrano come le realtà che praticano investimenti ESG si caratterizzano per un costo del capitale più basso, una minore volatilità, un minor numero di casi di corruzione e frodi aziendaliPertanto, già oggi, gli investimenti ESG appaiono in grado di generare valore, ma, in futuro potranno essere uno strumento a impatto in termini di sostenibilità globale.

Quanto alla sostenibilità ambientale, risulta necessario un cambiamento di paradigma con la sostituzione dell’analisi lineare della crescita con una sistemica e non lineare che concepisca la crescita quale sviluppo qualitativo. Pertanto, la crescita zero o la decrescita non sono soluzioni credibili. Una società o un’economia che non crescono sono destinate a scomparire. L’approccio sistemico comporta, dunque, il superamento di una concezione restrittiva, economicistica e, insieme, “difensiva” della sostenibilità che implicherebbe una sorta di blocco della crescita o, addirittura, un ritorno a forme di società premoderne. Diverso è pensare a un modello di crescita nel quale gli ecosistemi sono intesi come risorse ricostituibili nei limiti dei cicli naturali, quindi a un’economia e a scelte politiche che puntino sulle risorse naturali rigenerabili, su un ciclo nel quale “rifiuto” sia una parola priva di senso. Un modello, dunque, di economia circolare nel quale nasceranno nuove imprese e altre verranno meno o saranno ridimensionate in base a criteri ecologici e sociali. Tale modello sarà tanto più forte ed efficace se sostenuto da una visione della bioetica come disciplina capace di affrontare, secondo un approccio sistemico e glocale, le grandi questioni morali relative alla vita, in tutte le sue forme, in relazione con la sostenibilità ecologica ed economica. Questa visione, supportata da un mutamento di paradigma nell’analisi dei fenomeni naturali, costituisce lo sfondo per l’elaborazione di ragioni morali proprie di una bioetica planetaria capace di generare una “nuova alleanza” fra etica, politica ed economia.

 Tutto ciò richiede, a partire dalle realtà locali, la valorizzazione di un nuovo capitale: il capitale etico. Già oggi, il 40% del valore di mercato delle aziende non corrisponde ai Capital Assets, mentre risulta fondamentale il valore dell’ intangibile, ossia, degli Intellectual Assets. Il patrimonio di conoscenze tecniche e operative che intervengono nel processo produttivo grazie alla presenza di persone competenti che compongono gli organici aziendali è, certamente, essenziale, ma non sufficiente a spiegare completamente il successo di molte realtà che, in alcuni casi, possiedono patrimoni tecnici di minor rilevanza rispetto ad altre aziende e che, nonostante ciò, realizzano risultati superiori. Questa differenza si può spiegare considerando, appunto, un capitale diverso: quello prodotto dai comportamenti etici. È il patrimonio relazionale, la costruzione di rapporti fiduciari e di cura basati sulla corresponsabilità a determinare il capitale etico di un’ impresa profit, ma anche di aziende pubbliche e del Terzo Settore. Pertanto, l’attività economica, in ogni sua forma, non è riducibile a profitto e scambio fra equivalenti e l’economia e il mercato non si contrappongono all’espressione della socialità umana anche quando essa assume un alto significato morale: la prospettiva che si apre e che appare sempre più necessaria è quella di porre in relazione etica, politica ed economia come espressione del prendersi cura, insieme, di sé, degli altri (compresi gli animali non umani) delle istituzioni, dell’ecosistema a cominciare da quanto ci circonda.

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