"L' articolo 32 della nostra costituzione stabilisce che "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività".

La tutela della salute implica anche salvare la vita messa in pericolo da eventi che possono essere evitati, grazie a scelte intelligenti che devono privilegiare la prevenzione.

L'etimologia di prevenzione è quella di "giungere prima", avere la capacità di "immaginare cosa succede se...", una caratteristica essenziale al successo della nostra specie, ma che in alcuni casi, preferiamo ignorare. Un esempio di drammatica attualità è quello di "immaginare cosa succede se non si effettua una costante manutenzione di un manufatto di cemento armato immerso in un aerosol ricco di composti corrosivi naturali, come la salsedine marina, ma anche artificiale, come le piogge acide che si producono a seguito dell'immissione in atmosfera di ingenti quantità di inquinanti quali anidride solforosa, idrogeno solforato, ossidi di azoto, acido cloridrico."

Sono diversi decenni che gli studi di Chimica Ambientale hanno permesso di immaginare e sperimentalmente verificare che, una volta immessi in atmosfera, anidride solforosa e ossidi di azoto se inalati, inducono fenomeni infiammatori che, in occasione di fenomeni d’inquinamento acuto, aumentano significativamente il numero di ricoveri ospedalieri come pure la mortalità.

Ma questi costi umani non sono l'unico prezzo da pagare alla crescita senza limiti, esistono altri costi, non meno importanti ai fini della tutela della salute e della vita: la corrosione dei materiali ed in particolare dei manufatti realizzati in cemento armato, una miscela di cemento e sabbia in cui si annegano tondini di acciaio per aumentarne la resistenza.

Anidride solforosa e ossidi di azoto, sottoprodotti dalla combustione, una volta immessi nell'atmosfera, si trasformano in acido solforico e nitrico che insieme all'acido cloridrico che si forma direttamente a seguito della combustione di materiali contenenti cloro, formano un aerosol acido che, depositato sui materiali, in particolare quelli metallici, li corrode pesantemente.

Oltre a valutarne gli effetti, gli studi hanno quantificato il costo economico dovuto alla manutenzione indispensabile per contrastare la corrosione: negli anni '50, l'EPA ( Agenzia per la tutela dell’ambiente ) stimava che negli USA il costo annuale per la manutenzione e la sostituzione dei manufatti in cemento armato danneggiati dalle piogge acide ammontasse a 5 miliardi di dollari e simili valutazioni effettuate in Inghilterra, stimavano costi pari allo 0,15% del PIL di questo paese, corrispondenti a a 3,9 miliardi di dollari. E' fuor di dubbio che fenomeni corrosivi erano presenti da anni sulle strutture del ponte Morandi e di entità tale da giustificare continue e costose manutenzioni.

Oggi, dopo il tragico crollo, la principale spiegazione del collasso, su cui si sta indagando, è l'inadeguatezza delle manutenzioni che avrebbero dovuto contrastare gli effetti della corrosione.

E' lecito chiedersi se i progettisti degli anni '60 e gli attuali gestori del ponte abbiano valutato i maggiori rischi corrosivi di questo specifico manufatto a causa della sua collocazione che lo ha esposto sia all'aerosol marino che al pesante inquinamento prodotto dalla industrializzazione della val Polcevera, il torrente attraversato dal ponte, e delle zone limitrofe, Sampierdarena, Sestri, aree portuali.

Circa un decennio prima dell’ inaugurazione del ponte (1967) , in questa vallata si è insediata una raffineria (dismessa nel 1988) la cui presenza, durante l’attraversamento del ponte , era olfattivamente segnalata da composti solforati ( tossici e corrosivi ) emessi dalla raffineria.

Negli anni 50’, nei pressi della foce del Polcevera è stata costruita una grande acciaieria a ciclo integrato, la cui attività a caldo (cokeria e altiforni) si è conclusa nel 2005 e, nei pressi della Lanterna, sempre in quegli anni, fino al 2017, ha operato una centrale alimentata a carbone.

Le emissioni corrosive di questi impianti, in base alla direzione dei venti e all’altezza dei camini hanno certamente interessato la val Polcevera e il ponte.

E' stato stimato che nel 1995, con la raffineria dismessa da tempo, le emissioni annuali di anidride solforosa e ossidi di azoto prodotti sull'intero territorio comunale genovese ammontassero, rispettivamente, a 31.679 e 28.518 tonnellate, in gran parte emesse nell'area industriale della val Polcevera, con inevitabili ricadute sulle strutture del ponte.

Ponte, già di per se avvolto costantemente da questi stessi inquinanti prodotti dell'intenso traffico leggero e pesante (76.000 veicoli) che lo attraversava quotidianamente.

L'ipotesi che la corrosione prodotta dall'inquinamento potesse essere una possibile causa del crollo è stata bollata, nei social, come "stregoneria", fantasie di chi vuol farci tornare ai secoli bui.

Questa superficiale bocciatura di un’ipotesi, supportata da decine di studi sulle cause della breve vita utile degli edifici in cemento armato, evidenzia un altro problema che ostacola pesantemente l'attuazione di efficaci misure di prevenzione anche in campo strettamente sanitario: il negazionismo, che si alimenta grazie alla crescente ignoranza delle materie scientifiche, dei loro metodi di indagine, dei risultati di queste indagini. Se il presidente di una grande nazione può permettersi di negare i rischi sanitari dell'amianto, dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici indotti dall'uso del carbone l'unica risposta che ci resta per tutelare il nostro diritto ad una vita sana è il non rinunciare alla piena attuazione degli articoli 33 e 34 della nostra Costituzione che riconoscono la libera esercitazione ed insegnamento della scienza e garantiscono, a tutti, un adeguato livello di istruzione, tale da metterci in grado di comprendere le complesse correlazioni degli effetti prodotti dalle scelte di “crescita” ma anche di riconoscere facilmente tutte le "false notizie" che, spesso ad arte, si diffondono nella rete.

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